Domande Frequenti

Spese

Le spese condominiali

Le spese condominiali

I criteri di ripartizione Fra i punti dolenti della vita condominiale rientra a pieno titolo il problema delle spese comuni: non tanto ai fini della loro ripartizione fra i condomini (nei condomìni dotati di tabelle millesimali, infatti, sono sufficienti delle semplici operazioni aritmetiche per stabilire la quota da ciascuno dovuta), quanto ai fini deliberativi; il più delle volte, infatti, i contrasti si manifestano nella fase decisionale: per esempio quando si tratta di approvare o meno una certa spesa o di scegliere un preventivo piuttosto che un altro. Ma andiamo con ordine.Va premesso che il primo comma dell'articolo 1123 del codice civile stabilisce che le spese necessarie alla conservazione e al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza, devono essere sostenute dai condomini in proporzione ai millesimi di proprietà, salvo diverso accordo al quale devono però aderire tutti i condomini.Il secondo comma del citato articolo dispone che, se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne. La Cassazione (sentenza n. 13160 del 6/12/1991) ha precisato che questa norma si riferisce al caso in cui la cosa comune sia oggettivamente destinata a permettere ai singoli condomini di goderne in misura diversa (inferiore o superiore) al rispettivo diritto di comproprietà sulle parti comuni, e che nella sua applicazione si deve avere riguardo non all'uso effettivo ma a quello potenziale, a nulla rilevando che un condomino, pur potendo usare del bene, si astenga dal farlo, o che un altro condomino ne faccia un uso particolarmente intenso.Qualora, infine, un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità, parlandosi a riguardo di condominio parziale.Se non vi sono tabelle millesimali l'assemblea può adottare, a titolo di acconto e salvo conguaglio, tabelle provvisorie, avendo cura di rispettare la proporzione fra la quota di spesa a carico di ciascun condomino e la quota di proprietà esclusiva a questi appartenente; il criterio di determinazione delle singole quote, infatti, preesiste e prescinde dalla formazione delle tabelle millesimali.Il criterio di ripartizione delle spese stabilito dalla legge può essere modificato soltanto da un regolamento contrattuale, ossia approvato o accettato da tutti i condomini, o da una convenzione alla quale abbiano aderito tutti i condomini: l'eventuale modifica deliberata a maggioranza dall'assemblea sarebbe pertanto nulla.Naturalmente il condomino ha il diritto, in ogni tempo e senza essere tenuto a specificarne la ragione, di prendere visione o estrarre copia della documentazione riguardante le spese condominiali, assumendosene il relativo costo e sempre che l'esercizio di questo diritto non si risolva in un intralcio per l'amministrazione e non sia contrario ai principi di correttezza. Vietato rinunciare ai servizi comuni L'art. 1118 c.c. stabilisce che un condomino non può sottrarsi all'obbligo di contribuire a determinate spese comuni (per esempio quelle per la piscina) rinunciando al relativo servizio, a meno che non venga esonerato da tutti gli altri condomini. La Cassazione ha però statuito (sentenza n. 4652 del 27/4/1991) che si può rinunciare a quegli impianti condominiali che devono essere considerati superflui in relazione alle condizioni obiettive e alle esigenze delle moderne concezioni di vita, oppure illegali perché vietati da norme imperative: come nel caso della rinuncia all'impianto di autoclave in presenza di un servizio idrico pubblico efficiente, o al pozzo nero perché in contrasto con le prescrizioni di legge.Altro servizio al quale si può rinunciare, sia pure parzialmente dovendosi comunque contribuire alla spesa richiesta dalla conservazione dell'impianto, è quello di riscaldamento centralizzato, dal quale il condomino può distaccarsi a patto che provi che dall'intervento non derivano né aggravi di spesa per coloro che continuano a fruire dell'impianto, né squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio.Da ciò deriva che il proprietario è tenuto a contribuire alle spese condominiali indipendentemente dal fatto che l'unità immobiliare sia da lui occupata, concessa in locazione o disabitata: come sopra anticipato, infatti, quello che rileva è l'uso potenziale, non l'uso effettivo. Un classico esempio è costituito dall'ascensore: si è tenuti a contribuire alla spesa anche se ci si serve sistematicamente delle scale, mentre non si può aumentare la contribuzione a carico del proprietario di un ambulatorio o di un ufficio molto frequentati. Per derogare a questo principio è necessario un accordo sottoscritto da tutti i condomini. La responsabilità del pagamento nei confronti dei terzi Premesso che i condomini rispondono delle obbligazioni assunte nel loro interesse verso terzi dall'amministratore autorizzato dall'assemblea (in pratica fornitori ed eventuali dipendenti del condominio: per esempio giardiniere, portiere), le sezioni unite della Corte di Cassazione, ponendo fine a un contrasto giurisprudenziale che durava da decenni, con sentenza n. 9148 dell'8/4/2008 hanno stabilito che la responsabilità dei condomini di fronte alle obbligazioni assunte del condominio è parziaria e non solidale, per cui ciascun condomino risponde soltanto della propria quota di debito: sia perché l'obbligazione, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di denaro, sia perché la solidarietà nel condominio non è contemplata da alcuna disposizione di legge.Prima che intervenisse questa sentenza l'orientamento prevalente della Suprema Corte era nel senso di applicare ai condomini l'art. 1294 c.c., che prevede la solidarietà fra condebitori, ritenendoli solidalmente responsabili per le obbligazioni contratte nell'interesse del condominio, salva la possibilità, per chi avesse pagato, di rivalersi nei confronti degli altri condomini per essere rimborsato della rispettiva quota; se poi uno o più condomini si trovavano nell'impossibilità di pagare, la perdita andava ripartita fra i condomini solvibili in proporzione ai millesimi di proprietà. Facciata e balconi Alla spesa richiesta dal rifacimento e dalla manutenzione della facciata devono contribuire, in proporzione ai millesimi di proprietà, tutti i condomini, anche quelli i cui appartamenti non vi hanno aperture. Se però l'intervento comporta, per esempio, anche la riparazione o la posa in opera di pannelli aventi, oltre che funzione ornamentale, anche funzione protettiva delle abitazioni, la Cassazione (sentenza n. 13655 del 23/12/1992) ha ritenuto applicabile il criterio previsto dal secondo comma dell'art. 1123 c.c., per il quale, nel caso di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, la spesa dev'essere ripartita in proporzione all'uso che ciascuno può farne. Si tratta quindi di distinguere la quota di spesa attinente all'aspetto esteriore della facciata, da ripartire fra tutti i condomini, da quella attinente alla coibentazione, da ripartire fra i soli condomini che ne traggono direttamente utilità. Le spese occorrenti al rifacimento e alla manutenzione dei balconi costituenti pertinenza dei vari appartamenti gravano sui rispettivi proprietari, con la sola eccezione di quelle relative agli elementi decorativi (per esempio rivestimenti), qualora siano riguardabili come destinati all'abbellimento della facciata nel suo insieme e non del singolo balcone, da porsi a carico del condominio su base millesimale (Cass. 28/11/1992, n. 12792). A questa voce di spesa devono contribuire anche i condomini i cui appartamenti non siano dotati di balcone o siano situati su un'altra facciata dell'edificio.  L'indagine volta ad accertare se gli elementi decorativi sono finalizzati ad abbellire il balcone o non piuttosto la facciata nel suo insieme dev'essere condotta caso per caso, in relazione alle caratteristiche dell'edificio (fra gli elementi decorativi possono essere compresi, a seconda dei casi, anche le ringhiere e i divisori). La Corte d'Appello di Napoli (sentenza del 16/10/1990), per esempio, ha posto le spese per la riparazione delle colonnine e dei pilastrini che fanno parte integrante del parapetto dei balconi a carico del proprietario esclusivo, motivando col fatto che il parapetto assolve alla funzione primaria di protezione dell'unità immobiliare del condomino; la Corte d'Appello di Salerno (sentenza del 16/3/1992), invece, al pari del Tribunale di Roma (sentenza n. 31717 del 24/11/2004), ha posto le spese per il rifacimento dei parapetti a carico del condominio, insieme ai doccioni (canalini che allontanano l'acqua dal muro) e alle fasce d'intradosso (superfici interne delle porte e delle finestre). Anche la tinteggiatura dei parapetti, trattandosi di elementi cromatici inseriti nella facciata e quindi componenti del decoro architettonico dell'edificio, viene posta dai giudici a carico di tutti i condomini, in proporzione ai millesimi di proprietà. Scale e ascensore La spesa occorrente alla manutenzione e alla ricostruzione delle scale va ripartita fra i condomini seguendo il criterio dettato dall'art. 1124 c.c.: per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano e per l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. Ai fini del concorso nella metà della spesa rapportata al valore si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune. A questa voce di spesa devono contribuire anche i proprietari di autorimesse, laboratori e negozi, ancorché aventi accesso autonomo e quindi indipendente da quello destinato agli altri piani dell'edificio, poiché, per costante giurisprudenza, le scale costituiscono parte essenziale della proprietà comune.Quanto alla spesa richiesta dalla pulizia e dall'illuminazione delle scale, essa non è finalizzata alla conservazione di questa parte comune dell'edificio (ossia non è diretta a preservarne l'integrità e a mantenerne il valore), ma a permettere ai condomini un più confortevole uso e godimento di essa e delle parti di esclusiva proprietà; di conseguenza, per la Cassazione (sentenza n. 432 del 12/1/2007), la ripartizione va fatta non in base ai millesimi di proprietà ma in base all'uso che ciascun condomino può fare di questa parte comune, secondo il criterio fissato dal secondo comma dell'art. 1123 c.c., applicando a tal fine, per analogia, quale criterio idoneo ad esprimere la diversa utilità che da tale servizio ricavano i proprietari dei singoli piani, quello dell'altezza del piano dal suolo, senza che possa attribuirsi rilevanza, invece, alla destinazione (abitativa o meno) delle singole unità immobiliari o alla consistenza dei nuclei familiari che utilizzano le unità immobiliari a destinazione abitativa.   Dal punto di vista della ripartizione fra i condomini delle spese di manutenzione e ricostruzione dell'ascensore, la giurisprudenza assimila questo impianto alle scale, per cui la quota di spesa va rapportata, metà e metà, al valore dei singoli piani o porzioni di piano e all'altezza di ciascun piano dal suolo. Nell'ipotesi, invece, d'installazione ex novo dell'impianto, trova applicazione la disciplina dell'art. 1123 c.c. relativa alla ripartizione delle spese per le innovazioni deliberate dalla maggioranza: in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino, salvo diversa convenzione (Cass. 25/3/2004, n. 5975). Le spese di esercizio dell'ascensore, ossia quelle richieste dall'uso dell'impianto (per esempio quelle per la forza motrice), sono comprese nella metà di spesa riconducibile all'altezza di ciascun piano dal suolo. L'assemblea non potrebbe deliberare di ripartire le spese di esercizio dell'ascensore in ragione della diversa consistenza dei nuclei familiari, poiché non è detto che una famiglia, per il fatto di essere più numerosa di un'altra, faccia necessariamente un maggior uso dell'ascensore; l'adozione di questo criterio potrebbe pertanto essere adottato soltanto in base ad un accordo fra tutti i condomini. Appartamenti ubicati a piano terra Un caso particolare, in relazione alle spese richieste dall'ascensore, è quello dei proprietari di appartamenti ubicati a piano terra. Il Tribunale di Milano (sentenza del 16/3/1989) ha considerato l'ascensore parte comune dell'edificio anche per i proprietari delle unità immobiliari site al piano terra, poiché essi possono trarre utilità dall'impianto, idoneo a valorizzare l'intero immobile e a permettere di raggiungere più comodamente parti superiori che siano comuni a tutti (ciò indipendentemente dal fatto che chi abita a piano terra sia solito recarsi o meno, per esempio, sul lastrico solare condominiale o a far visita ad altri condomini). Il Tribunale di Parma, invece, con sentenza del 29/9/1994, ha escluso che i proprietari degli appartamenti ubicati a piano terra debbano concorrere alle spese di ordinaria manutenzione. C'è infine un terzo orientamento, per il quale il Tribunale di Monza (sentenza del 12/11/1985) ha posto a carico dei proprietari delle unità immobiliari situate al piano terreno, o aventi accesso separato mediante scala di proprietà esclusiva, le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e dell'ascensore, limitatamente a quella parte di oneri che viene suddivisa, ai sensi dell'art. 1124 c.c., in base al valore del piano o della porzione di piano, esonerandoli dalla quota di spesa riconducibile all'altezza del piano dal suolo.Da ultimo il Tribunale di Genova (sentenza del 2/5/2003, n. 1512) ha stabilito che, in assenza di prova circa l'esistenza di un regolamento contrattuale o di una convenzione fra i condomini che stabilisca criteri derogatori, deve applicarsi il criterio legale per il quale anche i proprietari di unità immobiliari poste al piano terra che non usufruiscono dell'ascensore, essendo comunque comproprietari dell'impianto, sono tenuti a contribuire alle spese di manutenzione ordinaria e straordinaria e a quelle di ricostruzione, mentre gli stessi sono esonerati ex art. 1123, secondo comma, c.c., dal contribuire alle spese di esercizio e di pulizia di detto impianto. Dello stesso avviso la Corte d'Appello di Milano, che con sentenza n. 76 del 21/2/2006 ha stabilito che il principio dettato dall'art. 1124 c.c. per la ripartizione delle spese relative alle scale, comportante un contributo anche a carico dei proprietari di unità immobiliari ubicate a piano terra, è applicabile alle spese di conservazione e manutenzione dell'ascensore, a nulla rilevando che esso sia stato installato contestualmente alla costruzione dell'edificio o in un secondo momento; tale ultima ipotesi (installazione successiva), per i giudici milanesi, rileva solo se l'installazione è avvenuta con il dissenso di alcuni condomini.   La spesa richiesta dall'adeguamento dell'ascensore alla normativa dell'Unione Europea, essendo finalizzate al conseguimento di obiettivi di sicurezza della vita umana e di incolumità delle persone, attiene alla proprietà e non all'uso di questa parte comune dell'edificio. Di conseguenza essa dev'essere ripartita fra tutti i condomini, anche quelli proprietari di unità immobiliari site a piano terra, in base ai millesimi di proprietà e non seguendo il criterio dettato dal codice civile per la manutenzione e la ricostruzione delle scale. Lo stesso criterio dev'essere seguito per l'eventuale spesa di tinteggiatura dell'androne, se conseguente ai lavori di adeguamento dell'ascensore. Lastrico solare Diverso è il criterio sulla base del quale ripartire la spesa occorrente alla manutenzione e al rifacimento del lastrico solare (la terrazza che in molti edifici sostituisce il tetto), a seconda che questo sia condominiale o di proprietà (o comunque di uso esclusivo) di un condomino.Alla spesa richiesta dalla manutenzione e dalla ricostruzione del lastrico solare condominiale devono contribuire tutti i condomini, anche se proprietari di unità immobiliari non coperte dal lastrico (Cass. 20/3/2009, n. 6889), in proporzione ai millesimi di proprietà.Lo stesso criterio di ripartizione della spesa, peraltro derogabile da un regolamento condominiale contrattuale o da un accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini, vale per i parapetti, trattandosi di accessori indispensabili al lastrico solare. Più sfaccettato è il criterio di ripartizione della spesa richiesta dalla riparazione e dalla ricostruzione del lastrico solare di uso esclusivo (art. 1126 c.c.). In tale ipotesi, infatti, il proprietario esclusivo del lastrico solare deve contribuire alla spesa in ragione di un terzo, restando gli altri due terzi a carico dei condomini proprietari delle unità immobiliari comprese nella proiezione verticale del manufatto da riparare o ricostruire, con esclusione dei condomini alle cui unità immobiliari il lastrico stesso non sia sovrapposto. Pertanto, se il proprietario esclusivo del lastrico è anche proprietario di una o più unità immobiliari sottostanti, in aggiunta al terzo di cui sopra dovrà concorrere anche alla spesa degli altri due terzi. Il suddetto criterio si applica non solo alle spese riguardanti la manutenzione o il rifacimento del solaio o del manto impermeabilizzante, ma anche alle spese rese necessarie dai suddetti interventi: per esempio rifacimento della pavimentazione e del parapetto, trasporto e discarica dei detriti. Sono invece a carico del condomino che ha l'uso esclusivo del lastrico le spese relative agli elementi collegati al suo godimento diretto: per esempio quelle occorrenti alla manutenzione delle ringhiere e dei parapetti. Anche in questo caso il criterio è derogabile da un regolamento condominiale contrattuale o da un accordo al quale abbiano aderito tutti i condomini. Se la ricostruzione del lastrico si rende necessaria esclusivamente per fatto e colpa del proprietario esclusivo, sarà soltanto questi a doversi fare carico della spesa. Se invece la ricostruzione si rende necessaria esclusivamente per fatto e colpa del condominio, che pur ripetutamente diffidato dal proprietario del lastrico solare non provvede con tempestività, per esempio, alla sistemazione della grondaia causa del danno, la conseguente spesa grava sul condominio in proporzione al valore di piano di ciascun condomino, compreso il denunciante. Se una parte del lastrico solare aggetta rispetto al fabbricato e non funge quindi da copertura a sottostanti unità immobiliari, la riparazione di essa fa carico al proprietario esclusivo, in quanto assimilabile a una terrazza a livello. Il criterio previsto dall'art. 1126 c.c. trova applicazione, ai sensi del successivo art. 1139, anche nel caso del cosiddetto condominio minimo, ossia formato da due soli condomini; pertanto un terzo della spesa fa carico al proprietario esclusivo del lastrico solare, mentre i restanti due terzi fanno carico al condomino alla cui unità immobiliare il lastrico serve da copertura.Il criterio di ripartizione della spesa previsto dall'art. 1126 c.c. si riferisce alle riparazioni dovute a vetustà e non a quelle riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, indebitamente tollerati dal proprietario del lastrico. In tale ipotesi, pertanto, sia le spese di riparazione che il risarcimento degli eventuali danni gravano esclusivamente sul proprietario, ai sensi dell'art. 2051 c.c., con possibilità di rivalersi, ricorrendone i presupposti, sul costruttore. Proprietari di negozi Il principio della proporzionalità fra spese e uso di cui al secondo comma dell'art. 1123 c.c., secondo cui le spese per la conservazione e il godimento delle parti comuni dell'edificio sono ripartite in proporzione all'uso che ciascuno può farne, comporta che, qualora la possibilità dell'uso sia esclusa, con riguardo alla destinazione delle quote immobiliari di proprietà esclusiva, per ragioni strutturali indipendenti dalla libera scelta del condomino, debba essere escluso anche l'onere, in capo al condomino stesso, di contribuire alle spese di gestione del relativo servizio. È questo il caso dei proprietari di negozi che la Cassazione (sentenza n. 5179 del 29/4/1992) ha esonerato dalle spese relative ai servizi di giardinaggio, piscina e portineria, cui non avevano accesso. Un regolamento contrattuale potrebbe comunque prevedere che anche i proprietari di negozi siano tenuti a concorrere alla spesa dei suddetti servizi, nonostante non vi abbiano accesso. Spese anticipate dall'amministratore o da un condomino Se l'amministratore ha anticipato nell'interesse del condominio una spesa non approvata o ratificata dall'assemblea, per avere diritto al rimborso, deve dimostrare che si trattava di spesa urgente e riferirne alla prima assemblea, oltre, naturalmente, a fornire prova degli esborsi sostenuti (art. 1134 c.c.). Se il rimborso avviene con ritardo, l'amministratore può pretendere gli interessi legali sul dovuto, con decorrenza dal giorno in cui la spesa è stata effettuata, oltre al risarcimento dell'eventuale danno (Cassazione 30/3/ 2006, n. 7498). Non può invece pretendere la rivalutazione della somma, trattandosi di debito cosiddetto di valuta. Anche il condomino che abbia anticipato, senza autorizzazione dell'assemblea o dell'amministratore, una spesa occorrente alla conservazione della cosa comune, ha diritto al rimborso da parte degli altri condomini, a condizione che dimostri che si trattava di spesa urgente. Ma quand'è che una spesa può definirsi urgente? A questa domanda ha risposto la Cassazione, che con sentenza n. 6440 del 6/12/1984 ha precisato che si può definire urgente la spesa che, secondo la valutazione di una persona di media diligenza, appare indifferibile se si vuole evitare un possibile, anche se non certo, danno alla cosa comune: la Suprema Corte ha considerato tale, per esempio, la spesa sostenuta per opere la cui esecuzione era stata ordinata dal Sindaco nell'esercizio dei poteri attribuitigli dalla legge in materia edilizia. L'onere di provare che si tratta di spesa urgente spetta naturalmente a chi ne chiede il rimborso; in particolare, si deve provare sia che sussistano le condizioni che impongono di provvedere senza ritardo, sia la possibilità di avvertire tempestivamente l'amministratore o gli altri condomini.Nell'epoca del fax, del cellulare e delle email, è raro che non si riesca a comunicare agli altri condomini, con la dovuta tempestività, l'esigenza di provvedere ad una spesa urgente. Nei casi, comunque, in cui i condomini (o alcuni di essi) fossero raggiungibili di persona ma non sia possibile convocare l'assemblea in tempo utile, l'amministratore o il condomino che intenda effettuare la spesa urgente potrà sottoporre alla firma dei condomini che riesce a contattare una dichiarazione di adesione all'effettuazione della spesa e di obbligo a contribuirvi in ragione della propria quota; la stessa Cassazione, infatti, ha successivamente precisato (sentenza n. 10738 del 3/8/2001) che il condomino che abbia anticipato una spesa comune ha diritto al rimborso a condizione che abbia precedentemente interpellato, o quando meno preavvertito, gli altri condomini o l'amministratore, e fornisca la prova sia della loro trascuratezza che dell'urgenza della spesa. Se il condomino è moroso Può accadere che uno o più condomini non paghino il dovuto alla prevista scadenza. L'amministratore deve pertanto attivarsi per il recupero coattivo (e preferibilmente tempestivo) del credito, inviando al debitore un sollecito a mezzo lettera raccomandata e, battuta senza esito questa strada, provvedendo a richiedere alla competente Autorità Giudiziaria un decreto ingiuntivo. Se poi il regolamento del condominio lo prevede, l'amministratore può, nei confronti del condomino moroso da almeno un semestre, sospendere l'erogazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato; questa possibilità, però, è stata esclusa dal Pretore di Roma (sentenza del 4/12/1997) nel caso in cui il recupero del credito non sia considerato a rischio.  Un deterrente alla morosità condominiale potrebbe essere, a parte l'obbligo, in capo al condomino ritardatario, di corrispondere al condominio gli interessi legali sugli importi pagati con ritardo, quello di prevedere un'indennità di mora a carico dei ritardatari, da acquisire alle casse del condominio; il suo importo, però, non dev'essere eccessivamente gravoso, ad evitare che, in caso di contestazione, possa essere ridotto dal giudice ai sensi dell'art. 1384 c.c. Una cosa, invece, che l'amministratore non può fare, è affiggere nell'androne condominiale l'elenco dei condomini morosi, con l'invito a mettersi in regola o addirittura con l'indicazione dell'importo dovuto; l'Autorità garante della protezione dei dati personali, infatti, ha stabilito che questo tipo d'iniziativa contrasta con il diritto alla privacy dei destinatari, mentre la Cassazione (sentenza n. 35543 del 26/9/2007) ha addirittura ravvisato il reato di diffamazione nell'affissione nella bacheca condominiale, potenzialmente accessibile anche agli estranei, dell'elenco dei condomini morosi. La stessa Autorità garante, con nota del 21/7/2008, ha precisato che l'amministratore può comunicare ai creditori del condominio i nominativi dei condomini morosi, i millesimi di cui sono titolari e gli importi dovuti. In caso di effettiva, improrogabile urgenza, per esempio se c'è in corso un'azione esecutiva nei confronti del condominio tendente al recupero della somma, o se si tratta di pagare la fornitura del carburante nell'imminenza dell'accensione dell'impianto di riscaldamento, l'assemblea può, con il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti, in rappresentanza di almeno 500/1.000 in prima convocazione, e con il voto favorevole di un terzo dei partecipanti al condominio in rappresentanza di almeno 334 / 1.000 in seconda convocazione, deliberare di ripartire fra gli altri condomini la quota dovuta dal condomino moroso, salvo ad intraprendere nei suoi confronti un'azione legale per il recupero del dovuto. Acquirente dell'immobile e spese Il secondo comma dell'art. 63 delle disposizioni di attuazione e transitorie del codice civile stabilisce che chi subentra nei diritti di un condomino (si pensi a un acquirente o a un erede) è obbligato, in solido con questo, al pagamento dei contributi condominiali relativi all'anno in corso e a quello precedente; quello che conta, hanno precisato i giudici, non è l'anno solare ma l'anno di gestione, anno la cui decorrenza potrebbe anche non coincidere con quella dell'anno solare, tutto dipendendo da come è stata impostata la gestione del condominio. Ciò significa che l'amministratore può rivolgersi, per il pagamento, indifferentemente al venditore o al compratore (il criterio è comunque estensibile, per esempio, al rapporto donante-donatario), col risultato che, se è questi a pagare, dovrà attivarsi per il recupero della somma nei confronti del venditore. Nel concetto di "contributi" di cui parla la citata norma rientrano non solo la quota, generalmente mensile, che viene periodicamente versata all'amministratore, ma anche le spese straordinarie (per esempio rifacimento del tetto, sostituzione dell'ascensore). In particolare, l'obbligo di contribuire alle spese sorge (Cass. 2/9/2008, n. 22034) per effetto della delibera dell'assemblea che approva le spese stesse; pertanto, nel caso di alienazione di un appartamento, obbligato al pagamento è chi risulta proprietario nel momento in cui la spesa viene deliberata.Attenzione, infine, a non acquistare senza garantirsi da chi sia in debito, oltre che dei contributi condominiali, anche delle spese legali sostenute dal condominio per il recupero coattivo del credito: il Tribunale di Roma (sentenza del 17/10/1996), infatti, ha stabilito che la solidarietà dell'acquirente si estende ad esse, salvo a rivalersi nei confronti del venditore-debitore. L'obbligo di pagare le spese condominiali presuppone l'acquisto della proprietà di una porzione dell'edificio (cosa che non avviene con un semplice contratto preliminare), e pertanto non grava sul promissario acquirente (intendendosi per esso il compratore chi abbia sottoscritto un contratto preliminare di vendita), neppure se abbia effettuato spontaneamente alcuni pagamenti. E' fatto ovviamente salvo il diverso accordo fra le parti. Se, infine, un regolamento contrattuale esonera un condomino dal contribuire a una certa spesa condominiale, in caso di vendita dell'unità immobiliare si presume salvo prova contraria, che il beneficio abbia, come si dice tecnicamente, natura reale (ossia che riguardi il bene prescindendo d chi ne sia proprietario), con conseguente estensione ai successivi titolari (per esempio acquirenti, eredi) dell'unità immobiliare. Spese e locazione L'art. 9 della legge 27/7/1978, n. 392, dispone che sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all'ordinaria manutenzione dell'ascensore, alla fornitura dell'acqua, dell'energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell'aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni. In particolare, le spese per il servizio di portineria sono a carico del conduttore nella misura del 90% (restando l'altro 10% a carico del locatore), salvo che le parti abbiano convenuto una misura inferiore. Tenuto a pagare i contributi condominiali è, nei confronti del condominio, il condomino-locatore e non il conduttore. Di fatto, in base a specifica clausola contenuta nel contratto di locazione, a pagare è il conduttore; se però questi non paga l'amministratore non può agire legalmente nei suoi confronti ma deve attivarsi nei confronti del condomino. Il condomino-locatore che sia stato costretto a pagare potrà ovviamente rivalersi nei confronti del conduttore, se del caso con un'azione di sfratto per morosità. Ciò vale anche per le spese di riscaldamento; nonostante, infatti, il conduttore abbia diritto di voto al posto del locatore nelle assemblee riguardanti la gestione di questo servizio, l'azione dell'amministratore dev'essere rivolta esclusivamente nei confronti del condomino-locatore. Il diritto del locatore al pagamento degli oneri condominiali posti a carico del conduttore si prescrive nel termine di due anni. Spese e usufrutto Non è infrequente che la proprietà di un appartamento spetti a un soggetto (nudo proprietario) e il godimento dello stesso a un'altra persona (usufruttuario). In tale ipotesi di fronte al condominio tenuto a pagare è il nudo proprietario, che si rivale nei confronti dell'usufruttuario per la quota di spesa da questi dovuta (Trib. Milano 5/10/1998). Nei rapporti interni fra nudo proprietario e usufruttuario, questi, ai sensi dell'art. 1004 c.c, è tenuto a farsi carico delle spese e, in genere, degli oneri relativi alla custodia, all'amministrazione e alla manutenzione ordinaria della cosa, nonché a corrispondere al nudo proprietario gli interessi legali sulle somme da questi spese per riparazioni straordinarie (terzo comma art. 1005 c.c.). Se però si tratta di spese conseguenti all'inadempimento degli obblighi riconducibili alla manutenzione ordinaria, esse sono a carico dell'usufruttuario e non del nudo proprietario, anche se attinenti a riparazioni straordinarie. Separazione e divorzio In caso di separazione o divorzio l'assegnazione in godimento della casa familiare è gratuita; di conseguenza il coniuge che ne beneficia non è tenuto a corrispondere all'altro alcun corrispettivo, indipendentemente dal fatto che l'abitazione sia in comproprietà o in proprietà esclusiva di uno dei coniugi. La gratuità, però, non si estende alle spese ordinarie di condominio; di conseguenza obbligato al pagamento è il coniuge cui sia stato assegnato il godimento della casa familiare, restando ovviamente a carico dell'altro coniuge che sia unico proprietario dell'immobile il pagamento delle spese straordinarie: si pensi al rifacimento della facciata o alla sostituzione dell'ascensore. Se la casa è in comproprietà, fermo restando che il coniuge assegnatario è tenuto ad accollarsi le spese ordinarie, quelle straordinarie vanno ripartite fra i coniugi in proporzione alla quota di proprietà di ciascuno. Naturalmente se i coniugi, in sede di separazione consensuale omologata dal Tribunale, si sono accordati nel senso che sia il proprietario-non assegnatario a sostenere anche le spese ordinarie, troverà applicazione questo diverso criterio. Per quanto attiene, invece, ai rapporti coniugi-condominio, in mancanza di diverso accordo contenente l'indicazione di chi debba pagare, accordo che dev'essere idoneamente portato a conoscenza dell'amministratore, questi è legittimato a chiedere il pagamento soltanto al coniuge che risulti proprietario dell'appartamento. Spese legaliRientrano fra le spese condominiali anche quelle sostenute dal condominio per intraprendere una causa o per resistere in una causa intrapresa da altri nei suoi confronti. Il condomino può, come previsto dall'art. 1132 c.c., dissociarsi dall'iniziativa giudiziaria, avendo cura di comunicare questa sua decisione all'amministratore nelle forme di legge. Di fronte a questa presa di posizione, pertanto, l'assemblea non può deliberare di addebitare pro-quota al condomino dissenziente le spese legali; una delibera siffatta sarebbe nulla, e quindi impugnabile senza limite di tempo, poiché solo l'unanimità dei condomini può modificare il criterio legale di ripartizione delle spese stabilito dal primo comma dell'art. 1132 c.c. Per il Tribunale di Bologna (sentenza n. 2618 del 12/10/2007) l'operatività dell'art. 1132 c.c. non va oltre l'esonero del condomino dissenziente dall'onere di partecipare alla rifusione delle spese di giudizio in favore della controparte, nell'ipotesi di esito della lite sfavorevole per il condominio, lasciando la norma immutato l'onere di partecipare alle spese affrontate dal condominio per la propria difesa.Se l'assemblea, prima di deliberare se intraprendere un'azione giudiziaria, incarica un avvocato, se del caso assistito da un tecnico, di formulare un parere sull'opportunità o meno di attivarsi, il condomino che si dissoci dalla successiva delibera con la quale l'assemblea decide di dar corso alla causa non può esimersi dal contribuire alla spesa richiesta dalla consulenza legale se non aveva impugnato la relativa delibera, trattandosi di onere non riconducibile alla difesa in giudizio ma propedeutico ad essa (Trib. Firenze 4/12/2006, n. 4149). Il condomino dissenziente ha diritto di rivalsa per ciò che abbia dovuto pagare alla parte vittoriosa. Se l'esito della lite è stato favorevole al condominio, il condomino dissenziente che ne abbia tratto vantaggio è tenuto a concorrere nelle spese di giudizio che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente.Il condomino, infine, che abbia vinto una causa nei confronti del condominio, non è tenuto a contribuire alle spese legali da questo sostenute, dovendosi ritenere il condomino implicitamente dissenziente rispetto alla lite (Trib. Civitavecchia 26/11/2007, n. 1806, con riferimento alla causa promossa da un condomino per infiltrazioni di acqua provenienti da una parte comune dell'edificio). Il fondo spese Non v'è dubbio che, dal punto di vista dell'economia condominiale, lo stanziamento di un fondo spese comune, finalizzato alla copertura di spese impreviste o di una certa entità, sia senz'altro consigliabile, per ridurne l'impatto, a volte devastante, sul budget dei condomini. Dal punto di vista giuridico, questa forma di previdente accantonamento è legittima, a condizione però che venga deliberato all'unanimità (Cass. 21/8/1996, n. 7706). Se, soprattutto nell'attuale momento di crisi che sta attraversando il Paese, molte famiglie non riescono a sopperire neppure alle esigenze ordinarie, con conseguente impossibilità di pervenire ad una decisione unanime circa l'istituzione del fondo comune, nulla vieta che alla sua costituzione contribuiscano i soli condomini che l'hanno approvata, versando i relativi importi su un conto separato da quello riservato alla gestione condominiale e suddividendo fra i depositanti, in proporzione ai versamenti effettuati, sia gli utili (per esempio interessi bancari od obbligazionari) che le spese di gestione. Naturalmente il problema della separazione delle casse non si pone qualora l'accantonamento venga deciso all'unanimità. La Cassazione (sentenza n. 1553 del 13/2/1988) ha però riconosciuto la legittimità di un fondo di riserva deliberato a maggioranza e costituito dai canoni di locazione provenienti da alcuni locali condominiali.
Chi è tenuto al pagamento delle quote lavori straordinari? L'acquirente o il venditore di un immobile?

Chi è tenuto al pagamento delle quote lavori straordinari? L'acquirente o il venditore di un immobile?

Il fatto. L'assemblea dei condòmini di una compagine palermitana, previa apposita deliberazione, appaltava i lavori di rifacimento della facciata in data 24 novembre 2008 in favore di una impresa edile.L'adunanza, seduta stante, formalizzava un piano di riparto della spesa in misura pluriennale, stabilendo l'esigibilità delle singole quote a far data dal 01 gennaio 2009.Le opere straordinarie venivano eseguite materialmente a cavallo tra gli esercizi 2009 - 2011.Ora, in data 06 ottobre 2010 una delle unità immobiliari di cui consta l'edificio è stata alienata a Tizio. Questi, in seguito, invitato dal condominio al saldo delle quote "straordinarie" di relativa spettanza, rifiutava di provvedere; affermava, a tal proposito, che tali oneri fossero direttamente imputabili al proprio "dante causa": attesa la rispettiva maturazione nell'anno 2008 (con l'emissione della delibera di approvazione dei lavori). Da non perdere: Lavori straordinari e costituzione del fondo speciale. I sei rimedi per aggirare la " morsa" dell'art. 1135, n° 4 del c.c.Il Condominio agiva, quindi, in via monitoria, sì da formalizzare la richiesta.Tizio si opponeva al Decreto ingiuntivo, sostenendo, tra l'altro, che il principio della solidarietà di cui all'art. 63, secondo comma, Disp. Att. C.c. andava ancorato, rispetto alla scansione temporale ivi descritta, dalla data di emissione della deliberazione e non a quella di esecuzione delle opere. In ogni caso, dalle proprie difese ricavava l'eccezione che nulla era dovuto alla compagine da par suo.La Sentenza. L'Ufficio del Giudice di Pace di Palermo ha respinto l'opposizione formulata con Sentenza dell'11 dicembre 2014, rassegnando, in punto, la seguente motivazione di diritto.L'obbligazione in base alla quale il Condominio opposto ha agito in monitorio trae origine dalla delibera assembleare del 24 novembre 2008, la quale stabiliva che la riscossione delle quote, di pertinenza di ciascun condomino (per approvvigionare il fondo cassa destinato la pagamento della impresa appaltatrice), avvenisse a partire dal mese di gennaio 2009. In effetti, i lavori straordinari di che trattasi sono stati effettuati durante gli anni 2009, 2010 e 2011.Ciò considerato, l'obbligazione a cui sono tenuti i condomini è sorta a decorrere dalla data di inizio dei lavori, e non invece da quella di emissione della delibera assembleare.In merito - ricorda il Giudice di Pace - il più recente arresto giurisprudenziale statuisce che l'obbligo contributivo per i condomini sorge proprio nel momento della concreta esecuzione dei lavori effettuati per la manutenzione o ristrutturazione della cosa comune e ciò anche se gli stessi sono stati deliberati precedentemente (cfr, Cass. Civ.12013/2004).Conseguentemente, è tenuto all'adempimento della relativa obbligazione il soggetto che al momento in cui si rende necessaria la spesa o si effettua la stessa risulta proprietario dell'unità immobiliare facente parte del Condominio.Nel caso in specie, quindi, sempre con riferimento all'applicabilità della solidarietà di cui al secondo comma dell'art. 63 disp. Att. c.c., si deve ritenere che parte opponente (Tizio), avendo acquistato l'immobile de quo in data 06 ottobre 2010 è obbligato al versamento dei predetti oneri, nessuno escluso.
Chi paga il canone Rai tra proprietario e inquilino in una casa ammobiliata?

Chi paga il canone Rai tra proprietario e inquilino in una casa ammobiliata?

Lo scorso anno sono entrato a vivere in un appartamento in affitto completamento ammobiliato, pensate che non ho dovuto comprare nemmeno le posate: quest'anno a febbraio il proprietario di casa mi ha chiesto di corrispondergli in canone Rai. Dice che siccome in casa ci vivo io, la spesa spetta a me. E‘ vero?Canone Rai: ovvero la tassa (per molti odiosa, per altri giusta) che si paga per la detenzione di un apparecchio atto alla ricezione del segnale radio-televisivo. Il pagamento del canone Rai e con esso l'individuazione del soggetto obbligato è disciplinata dal r.d. n. 246 del 21 febbraio 1938 e successivi provvedimenti di attuazione.In particolare l'art. 1 del regio decreto recita:Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto. Tralasciamo il linguaggio desueto per soffermarci sulla sostanza: il detentore dell'apparecchio è tenuto a pagare il canone.In ragione di ciò, pertanto, il canone dev'essere pagato dal conduttore dell'appartamento ammobiliato in quanto detentore del televisore. Il proprietario non dovrà pagare nulla, salvo il pagamento del Canone per altri apparecchi a sua volta detenuti. È utile ricordare che, rispetto ai privati cittadini, la misura del canone è identica indifferentemente dal numero di apparecchi detenuti."Ok, ma il mio contratto non è registrato ed io non risulto nemmeno residente in quella casa!" potrebbe dire uno dei tanti inquilini che vivono una condizione simile. Che cosa fare in questi casi?Partiamo da punto nodale: la situazione, per quanto diffusissima, è una situazione d'illegalità. In termini sostanziali che il contratto sia registrato o meno non cambia il fatto che il conduttore resti sempre il detentore dell'apparecchio atto alla ricezione del segnale radio-tv. Insomma, in questo caso, il pagamento spetterebbe sempre a lui, ma la situazione d'illegalità di partenza non può non essere tenuta in considerazione. Apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni: vuol dire che si paga il canone anche per smartphone, tablet e pc?La questione fu posta all'attenzione del Governo che, correva il mese di gennaio dell'anno 2014, rispondendo ad un'interrogazione parlamentare smentì questa possibilità sulla base del fatto che questi dispositivi non hanno a che vedere con la radiodiffusione ma con altre modalità di trasmissione del segnale.La Rai - soggetto deputato a riscuotere in canone - s'è adeguata a questa indicazione con un proprio comunicato stampa nel quale precisò anche a seguito di un confronto avvenuto con il Ministero dello Sviluppo Economico "che non ha mai richiesto il pagamento del canone per il mero possesso di un personal computer collegato alla rete, i tablet e gli smartphone" (http://www.ufficiostampa.rai.it/comunicati_aziendali/20120221/rai__nulla_e__dovuto_per_mero_possesso_computer__tablet_e_smartphone.html).Insomma il canone Rai lo paga l'inquilino, in quanto detentore, ma solamente per radio e Tv.
Chi paga le spese per la sostituzione della serratura di casa?

Chi paga le spese per la sostituzione della serratura di casa?

La serratura, è cosa nota, è un meccanismo di controlli degli accessi in determinati luoghi: essa può essere montata su porte, porte finestre, cancelli, ecc. La chiave è l'oggetto complementare utile per far funzionare (aprire e chiudere) la serratura, quanto meno dal lato esterno della porta. Nel caso di appartamento concesso in locazione al serratura della porta d'ingresso debba essere perfettamente funzionante: le ragioni sono ovvie. Per comprendere a chi tra il proprietario ed il conduttore spetti al spesa per la sostituzione della serratura è necessario valutare la tipologia d'intervento nel quale può essere ricondotta. Ai sensi dell'art. 1576 c.c.:Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore.  L'art. 1609 c.c. specifica cosa debba intendersi per interventi di piccola manutenzione: essi sono quelli "dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito".La mancata determinazione pattizia di queste categorie fa si che si debba fare riferimento agli usi locali (art. 1609, secondo comma, c.c.); se anche gli usi locali non dicono nulla, la valutazione, per il caso di contenziosi, dev'essere rimessa al giudice. Sicuramente la scelta del conduttore di cambiare serratura non può essere posta a carico del proprietario. È vero, l'inquilino ha diritto ad avere tutte le chiavi dell'appartamento, ma la consegna da parte del proprietario è operazione sufficiente. Se per maggiore scrupolo la si vuole sostituire, questa operazione non può essere posta a carico del proprietario non rientrando tra gli obblighi di mantenimento in buono stato locativo.In questo contesto nella spesa di piccola manutenzione non può essere considerato rientrante nemmeno il furto. Tuttavia esso non è nemmeno un fattore fortuito addebitabile al proprietario. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, la questione riguarda la funzionalità della porta e quindi la spesa dev'essere affrontata dal proprietario poiché ad esso spettano le riparazioni necessarie a mantenere la cosa in buono stato manutentivo. Lo stesso, ma al contrario, dicasi per la sostituzione della serratura a causa della chiave difettosa. Spetterà al conduttore, quale committente della copia, provvedere alla sostituzione, salvo il diritto di rivalsa sul ferramenta per il danno.
A chi spetta pagare la tinteggiatura delle scale?

A chi spetta pagare la tinteggiatura delle scale?

A seguito della decisione sono sorti due problemi, uno di carattere condominiale, uno riguardante il mio appartamento, vi spiego:a) secondo quale criterio di ripartizione dev'essere suddivisa tra i condomini la spesa per la tinteggiatura delle scale?b) la mia abitazione è condotta in locazione, questa spesa la devo pagare io oppure spetta all'inquilino? Partiamo dalla nozione di scale per arrivare alle problematiche connesse alla ripartizione delle spese ed alla imputazione al proprietario o al conduttore.Le scale, com'è noto, sono un elemento accessorio imprescindibile di un edificio: esse sono funzionali al collegamento tra i vari piani che lo compongono e alle scale vanno equiparati i pianerottoli ed i corridoi al piano che consentono l'accesso alle singole unità immobiliari di proprietà esclusiva (Cass. 10 luglio 2007 n. 15444).Le scale stante la loro funzione devono essere considerate dei beni comuni, se il regolamento condominiale contrattuale o gli atti d'acquisto non dicono nulla in contrario (cfr. art. 1117 c.c.). Oltre alle scale propriamente dette ed ai pianerottoli, che cosa dobbiamo considerare facente parte delle scale condominiali? (Scale in condominio: anche i condomini del piano terreno sono obbligati al pagamento)Com'ha in più occasioni sottolineato la Suprema Corte di Cassazione, "le scale - oggetto di proprietà comune a norma dell'art. 1117 n. 1 c.c., se il contrario non risulta dal titolo - comprendono l'intera relativa «cassa», di cui costituiscono componenti essenziali ed inscindibili le murature che la delimitano, assolvano o meno le stesse, in tutto o in parte, anche la funzione di pareti delle unità immobiliari di proprietà esclusiva cui si accede tramite le scale stesse" (così Cass. 7 maggio 1997, n. 3968). Al pari dei muri, devono essere considerati parti integranti delle scale i parapetti ed i passamano posti ai loro lati.Delle scale, quindi, fanno parte tutte quelle cose che le compongono e completano.Rispetto alle opere di manutenzione e sostituzione delle scale, il codice civile prevede espressamente al primo comma dell'art. 1124 che "le scale e gli ascensori sono mantenuti e sostituiti dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono. La spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo". Si badi: ai sensi dell'art. 1123, terzo comma, c.c., il cui concetto è richiamato in quello appena citato, se un edificio ha più scale, i condomini pagano solamente per la scale che da essi serve.Torniamo all'art. 1124 c.c.: la norma parla genericamente di manutenzione delle scale; la tinteggiatura dei muri che delimitano le scale, pertanto, non può che essere ricondotta in quest'alveo, sicché alla prima delle domande posteci dal nostro lettore è possibile rispondere così: le spese per la tinteggiatura delle scale devono essere ripartite secondo la tabella scale di cui all'art. 1124 c.c. E tra proprietario ed inquilino?Nella tabella concordata tra Confedilizia e Sunia-Sicet-Uniat, registrata all'agenzia delle entrate nel maggio del 2014, si legge che le spese per la manutenzione ordinaria di pareti, corrimano, ringhiere di scale è a carico del conduttore. Si badi: questo accordo non ha valore generale, ma solamente se richiamato nei contratti di locazione o comunque in particolari tipologie di contratto di contratti transitori e/o a canone concordato. Certamente esso fornisce lo spunto per comprendere la natura del costo di cui si discute.La spesa per la tinteggiatura, quindi, se non è collegata ad interventi di risanamento che possano farla considerare una parte di un più ampio intervento conservativo dev'essere addebitata al conduttore dell'appartamento.
E' possibile chiedere una rateizzazione dei pagamenti delle quote condominiali?

E' possibile chiedere una rateizzazione dei pagamenti delle quote condominiali?

Si badi: non stiamo parlando della normale periodicità dei ratei per la gestione dei beni comuni, ma di un'ulteriore rateizzazione richiesta da alcuni condomini a fronte di una particolare situazione di difficoltà economica.Cerchiamo di capire che cosa è possibile fare ed in che modo. Partiamo dal presupposto forse più duro da digerire: davanti al condominio un condomino non è mai senza possibilità di pagare perché, male che vada (ossia in caso d'azione legale), è sempre possibile chiedere il pignoramento dell'appartamento. È chiaro che prima di arrivare a tanto il debito debba essere particolarmente sostanzioso da consigliare di seguire questa procedura di per sé costosa e lenta. Si tenga, però, presente un aspetto: per i crediti condominiali (a differenza di quelli vantati da Equitalia) non esistono limiti alla pignorabilità dell'appartamento. Teoricamente anche per 1.000,00 euro (diciamo una cifra a caso) si può arrivare alla vendita forzata della casa (l'impignorabilità riguarda i debiti tributari).Tornando alle quote condominiali è utile ricordare che il debito che il condomino ha verso il condominio riguarda tutto l'anno di gestione e che spetta all'assemblea (e nel suo silenzio all'amministratore) decidere la cadenza (mensile, bimestrale, ecc.) dei versamenti.In questo contesto, che cosa può fare un condomino trovandosi nella situazione di non poter far fronte con la normale periodicità alle rate condominiali?La soluzione è una ed una sola: parlare con l'amministratore, spiegargli la situazione e cercare, come si suol dire, di "farlo andare incontro" alle esigenze contingenti. L'amministratore, si tenga presente, ha ben precisi obblighi verso la compagine. Egli, a dirlo è l'art. 1129, ottavo comma, c.c. "salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, [...] è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice".La norma, a dire il vero, fa riferimento alle somme dovute a consuntivo e non a preventivo. Tuttavia non vi sono motivi per non poter ritenere che l'assemblea non possa dispensarlo da azioni immediate durante l'anno di gestione.L'allungamento dei tempi, tuttavia, non vuol dire esonero dall'obbligo d'intraprendere un'azione. Come dire: sapere che per sette o otto mesi lì'amministratore non è tenuto ad adire le vie legali non significa essere al riparo dall'azione e soprattutto può non bastare per saldare i propri debiti. Ed allora? Allora è bene cercare un accordotransattivo con l'assemblea. In tal senso è bene ricordare che "l'assemblea dei condomini secondo i principi generali espressi dall'art. 1135 c.c. ha il potere di deliberare su tutto ciò che riguardi le spese d'interesse comune e quindi anche eventuali atti di transazione che a dette spese afferiscono" (Cass. 16 gennaio 2014 n. 821).
Sollecito di pagamento inviato dall'amministratore, chi paga i costi?

Sollecito di pagamento inviato dall'amministratore, chi paga i costi?

Quasi sempre tale spesa è inserita nell'ambito delle così dette spese personali e quindi addossata interamente al condomino destinatario di quella comunicazione.In buona sostanza, questo il ragionamento pratico, siccome il condomino non ha pagato in tempo (ossia non ha rispettato i termini di pagamento decisi dal regolamento o dall'assemblea), l'amministratore gli ricorda che deve farlo (per l'appunto lo sollecita) e per tale attività gli impone di versare un corrispettivo aggiuntivo.Questa prassi, molto diffusa e consolidata, se non suffragata da una deliberazione adottata con il consenso di tutti i condomini (o da un regolamento contrattuale) è contestabile e le delibere di approvazione dei conti con le quali si addossano i costi dei solleciti ai singoli, potenzialmente impugnabili per nullità. Vediamo perchè È utile ricordare che le obbligazioni condominiali, ossia l'obbligo dei condomini di pagare le spese necessarie per la conservazione delle parti comuni, sono obbligazioni propter rem.Tale tipo di obbligazione, ricorda la Cassazione, "sussiste ogni qual volta ad un diritto reale, esclusivo o frazionario, si accompagna una obbligazione, la cui origine si riconduce alla titolarità del diritto sul bene: contestuale titolarità in capo allo stesso soggetto del diritto e dell'obbligo. La connessione tra il diritto e l'obbligo consiste in ciò che, a certe condizioni, l'obbligazione segue le vicende del diritto, trovando la propria ragione d'essere nella titolarità, o nella contitolarità, del diritto reale, in virtù del principio per cui ai vantaggi si accompagnano taluni eventuali riflessi negativi (cuius comoda eius et incomoda). Le obbligazioni dei condomini di concorrere nelle spese per la conservazione delle parti comuni si considerano obbligazioni propter rem, perché nascono come conseguenza della contitolarità del diritto sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni. Alle spese per la conservazione per le parti comuni i condomini sono obbligati in virtù del diritto (di comproprietà) sulle parti comuni accessori ai piani o alle porzioni di piano in proprietà esclusiva. Pertanto, queste obbligazioni seguono il diritto e si trasferiscono per effetto della sua trasmissione" (Cass. 18 aprile 2003 n. 6323). Il condomino è tenuto a pagare e l'assemblea può stabilire in che tempi (es. rate mensili, bimestrali, ecc.).Ciò che l'assemblea e l'amministratore non possono fare, salvo un caso di cui diremo oltre, è prevedere l'applicazione di penali o interessi di mora comunque nominati per i casi di ritardato pagamento. Tali decisioni sarebbero nulle perché assunte in violazione dei diritti dei singoli.Che cosa fare, allora, per rimediare ad una situazione che rischia, eccezion fatta per le ipotesi di azione legale di recupero del credito, di lasciare al condomino moroso la possibilità di "fare il bello ed il cattivo tempo?"La soluzione, ad avviso di chi scrive, sta nell'art. 70 disp. att. c.c. a mente del quale:Per le infrazioni al regolamento di condominio può essere stabilito, a titolo di sanzione, il pagamento di una somma fino ad euro 200 e, in caso di recidiva, fino ad euro 800. La somma è devoluta al fondo di cui l'amministratore dispone per le spese ordinarie. L'irrogazione della sanzione e' deliberata dall'assemblea con le maggioranze di cui al secondo comma dell'articolo 1136 del Codice.Insomma si può prevedere una sanzione per il ritardato pagamento da inserirsi in apposita clausola del regolamento di condominio per poi farlo approvare dall'assemblea al momento dell'approvazione del rendiconto (o in altra data).
I negozianti del piano terra devono pagare le spese per l'impianto elettrico delle scale?

I negozianti del piano terra devono pagare le spese per l'impianto elettrico delle scale?

Questa, in sintesi, la decisione resa dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 17880 del 12 agosto 2014.Il fatto che ha portato gli ermellini a pronunciarsi in tal modo è di quelli ricorrentissimi: un condominio chiede ed ottiene un decreto ingiuntivo contro un condomino che non ha pagato alcune spese, nello specifico la propria quota parte inerente la messa a norma, ex lege n. 46/90, dell'impianto elettrico comune. Il condomino non ci sta e propone opposizione al decreto: a suo modo di vedere egli non ha nulla a che vedere con quella spesa, poiché da proprietario di un locale commerciale egli non ha alcun diritto su un impianto posto nell'androne comune. Il giudice di primo grado ha rigettato l'opposizione, mentre in sede d'appello s'è deciso che il condomino non doveva pagare.Sono errate le tabelle che non considerano i locali a piano terra a meno che...Da qui il ricorso per Cassazione.La posizione condominiale dei proprietari di attività commerciali. Non è la prima volta che si legge di controversie tra il condominio ed i titolari di unità immobiliari aventi accesso diretto alla pubblica via. Questi, siano essi titolare di abitazioni o locali commerciali, ritengono di non dover partecipare a determinate spese sulla scorta di un ragionamento che suona pressappoco così: "siccome ho un ingresso indipendente, la mia proprietà non c'entra nulla con quanto riguarda le scale". La tesi è evidentemente errata se oltre all'ingresso indipendente ve n'è uno sul vano scale. Nei casi di assenza di tale ultimo accesso, è necessario andare a leggere gli atti d'acquisto. Motivo? Solamente questi potrebbero escludere il diritto di condominio su tali parti dell'edificio. Quando la giurisprudenza si è occupata dell'argomento, ad esempio intervenendo sull'obbligo di partecipazione alle spese di androne e vano scale, è stato affermato che queste parti dell'edificio "sono oggetto di proprietà comune, ai sensi dell'art. 1117 c.c., salvo che il contrario risulti dal titolo, anche dei proprietari dei locali terranei che abbiano accesso direttamente dalla strada (o comunque da altro accesso), in quanto costituiscono elementi necessari per la configurabilità stessa di un fabbricato diviso in piani e porzioni di piano di proprietà individuale e rappresentano inoltre tramite indispensabile per il godimento e la conservazione delle strutture di copertura; pertanto, tali proprietari rientrano tra gli obbligati al contributo per la sistemazione del vano scale" (Trib. Bologna 4 aprile 1997). In questo contesto di fatto e di diritto, la Cassazione, con la sentenza n. 17880, è intervenuta a risolvere la controversia relativa alla partecipazione alla spese di adeguamento alle norme dell'impianto elettrico, affermando che "l'impianto elettrico condominiale, ai sensi dell'art. 1117, n. 3, cod.civ., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i partecipanti al condominio" e che di conseguenza è giusto inserire nella ripartizione delle spese ad esso relative il proprietario di un'unità immobiliare ubicata al piano terreno e con accesso autonomo dalla strada.
Come dividere le spese condominiali

Come dividere le spese condominiali

Questo è il caso di chi si trova a vivere all'interno di un condominio. Come si fa a dividere le spese condominiali? Cosa si intende con questa espressione? Vediamolo insieme.Scopri come fare: Le spese condominiali sono quei pagamenti relativi agli spazi comuni che devono essere suddivisi tra tutti i condomini. Possono riguardare l'uso o la manutenzione di queste parti e possono anche non essere proporzionali per tutti. In base a quali criteri si ripartiscono queste spese? E' il codice civile stesso che ci risponde. Il codice civile, in materia di ripartizione delle spese del condominio tra condomini, prevede tre criteri: ripartizione proporzionale al valore della proprietà, ripartizione in base all'uso che ogni condomino può farne e ripartizione in base al godimento che ciascuno può trarne. Il criterio della ripartizione in proporzione al valore della proprietà si basa sul bene realmente posseduto e quindi è molto semplice poter individuare le spese a cui si deve far fronte Se invece, la ripartizione ha a che fare con parti del condominio che possono essere utilizzate in maniera diversa da ciascun condomino, esse devono basarsi sull'uso che viene fatto all'atto pratico di esse ApprofondimentoCome risolvere i problemi in un condominio autogestito (clicca qui) Il secondo e il terzo criterio prevedono proprio questo. Il secondo criterio afferma che le spese debbano essere ripartite in base all'uso effettivo che si fa dei luoghi comuni come ad esempio delle scale e dell'ascensore. Questi, ovviamente, sono utilizzati in maniera diversa da un condomino che vive nell'ultimo piano e da uno che invece vive nel primo piano. Per questo la legge prevede che debbano essere divise le spese in base al reale utilizzo. Il terzo criterio si riferisce a quelle parti comuni come cortili e impianti particolari da cui traggono beneficio solo determinati condomini. Per questo motivo è giusto che le spese vengano divise solo tra quelli che, facendo uso di questi possedimenti comuni, ne traggono vantaggio. Quelli che abbiamo considerato sono i tre criteri che si possono estrapolare dagli articoli 1117, 1118 e 1123 del codice civile. Ogni materia è disciplinata in modo da non lasciare nulla al caso così da evitare qualsiasi dubbio ma se dovesse sorgere può essere sciolto nel momento in cui si partecipa alle assemblee condominiali.
Ascensore, autoclave, cancello automatico e suddivisione spese energia elettrica

Ascensore, autoclave, cancello automatico e suddivisione spese energia elettrica

Si pensi ad un solo contatore cui sono allacciate ascensore, autoclave, luce scale e cancello automatico ed in generale tutti quegli impianti che necessitano di corrente elettrica per funzionare.Ogni singolo impianto consuma una quota parte di energia elettrica che dovrà essere ripartita secondo i criteri utilizzati per quello specifico impianto: la spesa per la corrente elettrica utilizzata per far funzionare l'ascensore con l'apposita tabella, quella per il cancello idem, ecc. ecc. Eppure, senza contatore di sottrazione non è possibile indicare con precisione quanta parte di corrente elettrica sia stata utilizzata per ogni singolo impianto.In questo contesto, quindi, è necessario comprendere in che modo possano essere individuati dei criteri di suddivisione del "costo bolletta" in relazione ad ogni singolo impianto.Qualcuno potrebbe affermare: siccome la spesa serve per l'erogazione di un servizio e siccome tali spese ricadono nell'ambito applicativo dell'art. 1123, primo comma, c.c. la spese per la corrente elettrica dovranno essere ripartite secondo i millesimi di proprietà.Tesi suggestiva e non trascurabile, ma bisogna sempre tenere presenti le spese per la conservazione e le spese per l'uso dei beni comuni.Rispetto a questi due tipologie di spesa è utile leggere una sentenza resa dalla Cassazione nel 2000. All'epoca gli ermellini affermarono che "le spese per la conservazione costituiscono delle obbligazioni propter rem, nelle quali il nesso immediato tra l'obbligo e la res non è modificato dalla interferenza di nessun elemento soggettivo. Per conseguenza, il quantum resta sempre commisurato alla proporzione espressa dalla quota che, per determinazione normativa, esprime la misura della appartenenza. Il contributo riflette l'estensione dell'oggetto dei diritto, da cui l'obbligazione ha origine (ed a questa regola si deroga eccezionalmente, in casi determinati in modo tassativo). L'obbligazione di concorrere alle spese per l'uso, invece, scaturisce dall'uso, cioè da un fatto soggettivo, personale e mutevole e, ciò che più conta, indipendentemente dalla misura proporzionale dell'appartenenza. Perciò, il contributo è adeguato al godimento che, in ordine alla stessa cosa, può cambiare da un condomino all'altro in modo del tutto autonomo rispetto al valore della quota" (Cass. 19 giugno 2000 n. 8292). Si badi: l'uso cui si fa riferimento in questa sentenza, lo ricorda la stessa Cassazione in altri suoi pronunciamenti è l'uso potenziale, non quello effettivo di ogni persona, in quanto ciò renderebbe ogni criterio instabile e quindi costantemente necessitante di revisione (cfr. da ultimo Cass. 1 agosto 2014 n. 17557).Insomma, in casi del genere siamo dinanzi ad una di quelle classiche ipotesi di cui all'art. 1123, secondo comma, c.c. a mente del quale "se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne".Poiché ai sensi dell'art. 1138 c.c. il regolamento condominiale deve contenere norme circa la ripartizione delle spese, non è errato ritenere che la stessa assemblea, pur se il regolamento non è obbligatorio, possa prevedere una suddivisione percentuale che tenga conto dell'effettivo consumo di energia da parte del singolo impianto in relazione al suo consumo ipotizzabile in ragione delle frequenza d'utilizzazione ed del consumo.
Chi paga le spese per i pezzi di ricambio della caldaia?

Chi paga le spese per i pezzi di ricambio della caldaia?

Nel condominio in cui vivo si sono rotti alcuni componenti idraulici della caldaia. L'amministratore ha chiesto le quote per poter far effettuare l'intervento di manutenzione e le ha suddivise in base ai millesimi di proprietà: è giusto?Sono il nudo proprietario di un appartamento in condominio: l'amministratore chiede delle somme perché è necessario sostituire il bruciatore della caldaia centralizzata. La spesa spetta a me oppure all'usufruttuario?Queste le domande che spesso leggiamo sul nostro forum cui forniremo una risposta spiegandone le ragioni. Proprietario, conduttore e spese di manutenzione Che cosa dice la legge in merito alle spese di manutenzione dell'appartamento e dei suoi impianti?Norma di riferimento è l'art. 1576 c.c., rubricato Mantenimento della cosa in buono stato locativo, che recita:Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie, eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore.Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore. Rispetto al concetto di piccole riparazioni bisogna guardare all'art. 1609 c.c. che recita:Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell'art. 1576 devono essere eseguite dall'inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall'uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito.Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali. La Cassazione, pronunciandosi sul concetto d'interventi di piccola manutenzione, ha specificato che "non rientrano tra le riparazioni a carico dell'inquilino a norma dell'art. 1609 c.c. quelle relative agli impianti interni della struttura del fabbricato (elettrico, idrico, termico) per l'erogazione dei servizi indispensabili al godimento dell'immobile, atteso che, mancando un contatto diretto del conduttore con detti impianti, gli eventuali guasti manifestatisi improvvisamente e non dipendenti da colpa dell'inquilino per un uso anormale della cosa locata, devono essere imputati a caso fortuito o vetustà, e pertanto le spese delle relative riparazioni gravano sul locatore che, ai sensi dell'art. 1575 c.c., comma 2 deve tenere costantemente l'immobile in stato da servire all'uso convenuto (Cass. n. 271/89)" (Cass. 28 novembre 2007 n. 24737).Il caso del cronotermostato è leggermente differente in quanto esso non è una parte interna dell'impianto, ma un componente direttamente utilizzabile dal conduttore. Per comprendere chi debba pagare, quindi, è necessario valutare la causa della rottura di tale componente; se si tratta di rottura dovuta all'uso, non v'è dubbio che debba pagare l'inquilino. Se il pezzo da sostituire s'è rotto in ragione della sua vetustà o per caso fortuito, invece, la spesa è a carico del proprietario. Nel primo caso l'inquilino potrà scegliere marca e modello, purché compatibile con l'impianto esistente. Nel caso in cui l'amministratore o l'assemblea nell'ambito delle rispettive competenze decidano la sostituzione di un componente della caldaia, la spesa dovrà essere ripartita tra tutti i condomini in ragione dei millesimi di proprietà, trattandosi d'un costo inerente la manutenzione di un impianto comune (art. 1123, primo comma, c.c.), salvo diversa convenzione.La tabella del riscaldamento, laddove presente, serve per ripartire le spese d'uso dell'impianto, identificandosi con queste le spese per il combustibile.Imputazione spesa sostituzione bruciatore tra nudo proprietario ed usufruttuarioUna premessa sull'argomento è necessaria. Ai sensi dell'art. 67, ultimo comma, disp. att. c.c. proprietario ed usufruttario sono solidamente responsabili, verso il condominio, per le spese di gestione e conservazione delle cose comuni.Ciò non esclude che nei rapporti interni - o comunque se l'amministratore intenda agire contro chi di dovere, al di là del vincolo di solidarietà - si possa individuare il titolare dell'obbligo di contribuzione.Gli artt. 1004 e 1005 c.c. ci dicono che sono a carico dell'usufruttario le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria nonché le riparazioni straordinarie rese necessarie dall'inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione, mentre il nudo proprietario paga le spese necessarie ad effettuare le riparazioni straordinarie.Nel caso del bruciatore, quindi, è necessario individuare la causa del danno per comprendere chi debba pagare per la sua sostituzione.

Amministratore

Quali sono le funzioni dell'amministratore del condominio?

Quali sono le funzioni dell'amministratore del condominio?

L’amministratore di condominio deve (art. 1133 c.c.): eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini e curare l’osservanza del regolamento di condominio; disciplinare l’uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell’interesse comune, in modo che sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, e gestire il relativo fondo (art. 70 disp. att. c.c.); compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio. rendere il conto della sua gestione alla fine di ciascun anno. L'amministratore ha inoltre facoltà di: ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo per la riscossione dei contributi di cui al n. 3) in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea (art. 63 disp. att. c.c.); convocare l'assemblea a) in via ordinaria e annualmente per le deliberazioni ad essa proprie, b) in via straordinaria quando lo stesso amministratore lo ritenga ritiene necessario o c) quando vi è la richiesta di almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio (art. 66 disp. att. c.c.); agire in giuidizio sia contro i condomini, sia contro terzi (art. 1131 c.c.), pur nei limiti attribuzioni di legge (vedi sopra, nn. 1-5) o dei maggiori poteri conferitigli dall'assemblea. L'amministratore può inoltre essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio e a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto.Qualora la citazione o il provvedimento abbia un contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia all’assemblea dei condomini. Se non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è tenuto al risarcimento dei danni.I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condomini. Contro i provvedimenti dell’amministratore è ammesso ricorso all’assemblea, senza pregiudizio del ricorso all’autorità giudiziaria nei casi e nel termine previsti (v. risposta specifica).
7 mosse per scegliere l'amministratore di condominio giusto

7 mosse per scegliere l'amministratore di condominio giusto

Il problema è diventato ancora più grave quando in molti, magari spinti dalla necessità di reinventarsi professionalmente, hanno deciso di intraprendere questa carriera, non sempre con una preparazione adeguata alle spalle. Ecco allora che l'A.N.AMM.I., associazione di categoria alquanto attiva, ha diffuso negli scorsi giorni un breve vademecum in sette mosse che, nelle intenzioni almeno, dovrebbe servire ai condòmini per individuare il professionista migliore. Ecco, in punti, i suggerimenti di A.N.AMM.I. I requisiti professionali sono importanti. Per legge gli amministratori di condominio devono avere non solo un diploma di scuola superiore, ma anche un attestato che dimostri l'avvenuta frequenza di un corso di base per l'abilitazione e dei corsi di aggiornamento che, ancora una volta per obbligo di legge, l'amministratore deve seguire. Ultimo, ma non meno importante, chi vuole amministrare uno stabile non deve avere alle spalle alcuna condanna penale. Amministratori certificati. Secondo quanto stabilito dalla legge 4/2013, le associazioni sono autorizzate a rilasciare una certificazione che attesti il possesso dei requisiti pofessionali necessari da parte dell' amministratore. L'associazione è legalmente responsabile di questa certificazione che deve essere prodotta dall'interessato ai condòmini assieme all'atto della nomina. Un team di specialisti. La professione dell'amministratore di condominio diventa ogni giorno più complicata; per questo motivo non solo è fondamentale che abbia conoscenze, perlomeno di base, di ambito legale, fiscale e costruttivo, ma anche che si faccia affiancare da professionisti validi in modo da dare assistenza tempesitva e qualificata al condominio per le molte necessità che possono insorgere nel tempo. Un manager a servizio dell'assemblea. Questo punto è strettamente legato al precedente; vista la complessità di argomenti e situazioni che l'amministratore condominiale è chiamato a gestire, è necessario che sia preparato non solo da un punto di vista normativo, ma anche gestionale; proprio come si richiede ad un bravo manager aziendale. Insomma, amministratore di nome e di fatto e, aggiungiamo noi, anche un po' psicologo. Condominio 2.0. Come noi stessi vi avevamo raccontato tempo fa, ormai i condomìni devono essere al passo coi tempi e non è più accettata o accettabile la gestione unicamente cartacea delle pratiche inerenti alle assemblee e alle altre attività dei condòmini. Diffidate dunque, dichiarano dall' A.N.AMM.I. da chi proclama il suo amore per la carta e l'avversione alle nuove tecnologie; non solo non è al passo coi tempi, ma neanche con la legge. L'importanza di essere associati. Se avete letto fino a qui, vi sarà ormai chiaro quale sia l'importanza delle associazioni di categoria nella formazione della figura professionale dell'amministratore di condominio, ma anche nella verifica constante del mantenimento dei requisiti. Da qui il valore aggiuntio che un amministratore di condominio iscritto ad un'associazione può dare ai condòmini e la richiesta fatta al ministero della Giustizia affinché formalizzi la creazione di un regolamento e di un protocollo che dia indicazioni chiare proprio in merito alla formazione professionale degli amministratori di condominio. Targa e rintracciabilità. Da qualche anno è obbligatorio per legge che, subito dopo la nomina, l'amministratore di condominio apponga all'esterno dello stabile una targa con il suo nome e cognome ed i recapiti a cui può essere sempre rintracciato; tanto dagli inquilini del condominio quanto dagli esterni che dovessero avere necessità di mettersi in contatto con lui. Questa è una norma di trasparenza di fondamentale importanza; se l'amministratore nominato tarda nel fornire a tutti i propri recapiti meglio chiedersi perché.Ora che avete tutti gli elementi, siete soddisfatti del vostro amministratore? Se la risposta è positiva siamo lieti per voi, se è negativa perlomeno siamo certi di avervi dato tutti gli strumenti per sceglierne un valido successore.
Il preventivo dell'amministratore, come valutarlo?

Il preventivo dell'amministratore, come valutarlo?

Per rispondere alla domanda partiamo dal dato incontrovertibile: allo stato attuale non esistono tariffari di riferimento e quindi il compenso dell'amministratore è rimesso alla libera contrattazione tra le parti.È stata richiesta e provata in più occasioni e da più parti la creazione di un tariffario o mansionario o comunque di una tabella di riferimento, ma l'Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha stoppato queste iniziative considerandole intese restrittive della concorrenza Le associazioni degli amministratori non possono imporre un tariffario minimo!.Tra gli amministratori non manca chi chiede, a gran voce, l'istituzione di un tariffario con la previsione di minimi inderogabili: un po' come succedeva in passato per le professioni "ordinistiche" (avvocati, ingegneri, ecc.).Il tariffario, dicono i suoi sostenitori, aiuterebbe a espellere dal mercato quegli pseudo-professionisti che per pochi euro arraffano sul mercato tanti condominii con grosso danno per i condòmini e per chi sul mercato opera con serietà e professionalità venendo danneggiato dai praticoni. Non è chiaro, tuttavia, perché il mediocre che chiede meno dovrebbe essere espulso da un mercato che gli consentirebbe di chiedere sempre meno del professionista serio, il quale, molto probabilmente, non accetterebbe mai di svalutare la propria attività anche se il riferimento fosse il minimo tariffario. La standardizzazione, se con essa s'intende la parificazione indiscriminata di trattamento, crea mediocrità e non eccellenza. Senza parlare, poi, dei vari modi e trucchetti per non applicare le tariffe predeterminate per legge. Alzi la mano, chi, avendo avuto a che fare con un avvocato o con un architetto o ancora con un geometra o un qualunque libero professionista non abbia trovato disponibilità a non considerare tutta l'attività secondo tariffa. Quanti consultazioni con il cliente sono restate fuori dalla parcella?Stando così le cose, quali sono i parametri cui rivolgersi per valutare la richiesta di compenso presentata dall'amministratore?La congruità è data da una serie di considerazioni che non possono prescindere dalla complessità dell'edificio che il professionista è chiamato a gestire. Una palazzina con cinque proprietari, nessun ascensore e nessun box, senza autoclave e con gli unici beni comuni costituiti dalla facciata, dall'androne, dalle scale, dal tetto e dall'impianto idrico è cosa diversa dalla mega-compagine con vari servizi comuni (es. portierato, ascensore, ecc. ecc.). Prima valutazione da farsi, quindi, è comprendere se quell'amministratore è solito chiedere un forfait al di là della concreta attività di gestione da svolgere. Come valutereste un avvocato che chiede X euro sia quando deve preparare un ricorso per divieto di sosta, sia quando deve iniziare una complessa causa per responsabilità medica? Chiedere a chi è già amministrato da quella persona, magari in un contesto differente, è un buon modo. Certo, resta sempre l'ipotesi che l'amministratore, magari anche bravo, scelga di applicare tariffe forfettarie ed uguali per ogni condominio che gli si propone di amministrare. La questione, com'è possibile notare, è tutt'altro che di facile soluzione e può sfuggire a tali considerazioni. Questa prima valutazione generale può essere utile ma non è determinante: la valutazione del compenso dev'essere fatta prioritariamente guardando alla misura della retribuzione richiesta. La riforma del condominio ha agevolato questo compito, specificando, all'art. 1129, quattordicesimo comma, c.c. che "l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta". Insomma patti chiari fin dall'inizio e se l'amministratore chiede di più, quella richiesta può portare ad una pronuncia di nullità dell'atto di nomina.Solitamente sono tre i modi di indicazione del compenso:a) un'offerta omnicomprensiva;b) un'offerta dettagliata voce per voce;c) un'offerta mista con un compenso base e delle voci ulteriori di compenso richiedibili all'espletamento di quell'attività.Di così detti mansionari se ne trovano tanti in giro; nel caso di offerta dettagliata è molto importante valutare con attivazione le singole voci che vanno a comporre il compenso per comprenderne l'effettività misura. Chiedere 10 euro ad unità immobiliare è cosa diversa dal chiederne chiedono 3 o 4, ma con una serie di voci che doverosamente o maliziosamente attivate sono in grado di portare la cifra del compenso ben oltre quei dieci euro. Ciò che appare caro a prima vista potrebbe non esserlo. È bene, poi, valutare se le voci aggiuntive riguardano solamente l'attività straordinaria, come dovrebbe essere o anche adempimenti ordinari in grado di farlo lievitare notevolmente. Che senso ha dire che si chiedono 2 euro al mese ad un unità immobiliare se poi si chiede un compenso anche per la convocazione dell'assemblea ordinaria annuale? Trarre in inganno il condomino?La valutazione del preventivo è la prima regola di fondo per comprendere l'effettiva richiesta economica dell'amministratore; come spesso accade per molti altri settori, non sempre chi meno spende meglio spende; il vero risparmio non sta nella richiesta più economica ma in quella più trasparente.  
Come deve essere nominato o revocato un amministratore?

Come deve essere nominato o revocato un amministratore?

L’assemblea deve nominare un amministratore quando i condomini sono più di quattro (art. 1129 c.c.). Se sono in numero inferiore l'assemblea ha comunque facoltà di nominare un amministratore.Se l’assemblea non provvede, la nomina è fatta dall’autorità giudiziaria, su ricorso di uno o più condomini.L’amministratore dura in carica un anno e può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea.Può altresì essere revocato dall’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, oltre che nel caso in cui non abbia dato senza indugio notizia all’assemblea della notifica di provvedimenti giudiziari o amministrativi, se per due anni non ha reso il conto della sua gestione, ovvero se vi sono fondati sospetti di gravi irregolarità.Sulla revoca dell’amministratore, il tribunale provvede in camera di consiglio, con decreto motivato, sentito l’amministratore medesimo. Contro il provvedimento del tribunale può essere proposto reclamo alla corte d’appello nel termine di dieci giorni dalla notificazione (art. 64 disp. att. c.c.).

Regolamenti

Quali sono le parti condominiali di un edificio?

Quali sono le parti condominiali di un edificio?

Sono oggetto di proprietà comune, se il contrario non risulta dal titolo (art. 1117 c.c.): il suolo su cui sorge l’edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni d’ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell’edificio necessarie all’uso comune; i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, per la lavanderia, per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi in comune; le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all’uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l’acqua, per il gas, per l’energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini. Esiste pertanto una presunzione di appartenenza al condominio delle parti comuni dell'edificio, che opera ove la parte dell'edificio non sia espressamente assegnata in proprietà esclusiva ad uno dei condòmini da un titolo.La giurisprudenza ha chiarito che nell'elenco previsto dall'art. 1117 c.c., sono anche inclusi:I fregi ornamentali e gli elementi decorativi, che ineriscano ai balconi (quali i rivestimenti della fronte o della parte sottostante della soletta, i frontalini e i pilastrini), se adempiono prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio e non solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti, mentre i balconi, essendo elementi accidentali rispetto alla struttura del fabbricato, e non avendo funzione portante (assolta da pilastri ed architravi), non costituiscono parti comuni dell’edificio, anche se inseriti nella facciata, in quanto formano parte integrante dell’appartamento che vi ha accesso come prolungamento del piano [Cass. 23-6-95, n. 7148, rv. 493062].I muri perimetrali dell’edificio in condominio - i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dell'edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica - anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprietà singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici [Cass. 21-2-78, n. 839, rv. 390175].l’intercapedine creata dal costruttore tra il muro di contenimento del terreno che circonda i piani interrati o seminterrati dell’edificio [Cass. 10-5-96, n. 4391, rv. 497529] e l’intercapedine esistente tra il piano di posa delle fondazioni di un edificio condominiale - che costituisce il suolo di esso - e la prima soletta del piano interrato, in quanto destinata alla aerazione o coibentazione del fabbricato [Cass. 17-3-99, n. 2395, rv. 524203].La facciata di prospetto di un edificio, che rientra nella categoria dei muri maestri [Cass. 30-1-98, n. 945, rv. 512078].I pianerottoli, quali componenti essenziali delle scale comuni [Cass. 16-12-74, n. 4299, rv. 372989].Relativamente alle aree degli edifici riservate a parcheggio la giurisprudenza non è concorde: in alcuni casi le considera parti comuni, salvo che vi sia un titolo che assegna tali aree ai singoli condòmini [Cass. 20-7-87, n. 6365, rv. 454644]; in altri casi le considera quali pertinenze, senza farle quindi ricadere a titolo presuntivo nei beni comuni di cui all'art. 1117 c.c. [art. 26 u.c. L. 28/1985 n. 47, Cass. 30-7-98, n. 7498, rv. 517629].Le aree degli edifici riservate a parcheggio ex art. 41 sexies della legge 17.8.1942, n. 1150, introdotto dall’art. 18 della legge 6.8.1967, n. 765, atteso che sussiste per dette aree, obiettivamente destinate per legge ad uso comune, l’identica ratio che sta alla base della presunzione di comunione stabilita dall'art. 1117 c.c., ove, poi, tale presunzione sia vinta dal titolo, risultando quelle aree di proprietà esclusiva di uno o più condomini, il vincolo di destinazione comune determina la costituzione ope legis a favore dell’intero edificio o delle sue singole parti, appartenenti a proprietari diversi, di un diritto reale di uso sulle aree medesime [Cass. 20-7-87, n. 6365, rv. 454644].La canna fumaria anche se ha inizio nell'appartamento di un singolo condòmino [Cass. 29-4-66, n. 1092, rv. 322176].Gli ascensori e gli impianti di riscaldamento, comprese le caldaie ed i bruciatori, essi, infatti, non hanno una funzione propria, ancorché complementare e subordinata rispetto a quella degli edifici, ma partecipano alla funzione complessiva ed unitaria degli edifici medesimi, quali elementi essenziali alla loro destinazione. [Cass. 27-2-76, n. 654, rv. 379302, e Cass. 27-2-76, n. 653].Le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Ciò anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose.Lo scioglimento è deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell’art. 1136 c.c., o è disposto dall’autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell’edificio della quale si chiede la separazione. Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall’assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell’art. 1136
Quando è obbligatoria la formazione del regolamento di condominio?

Quando è obbligatoria la formazione del regolamento di condominio?

Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione (art. 1138 c.c.). In caso di numero inferiore di condomini, l'adozione di un regolamento di condominio è comunque consentita.Il regolamento di condominio deve precisare il valore proporzionale di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano spettante in proprietà esclusiva ai singoli condomini (art. 68 disp. att. c.c.). I valori dei piani o delle porzioni di piano, ragguagliati a quello dell’intero edificio, devono essere espressi in millesimi in apposita tabella allegata al regolamento di condominio. Nell’accertamento dei valori medesimi non si tiene conto del canone locatizio, dei miglioramenti e dello stato di manutenzione di ciascun piano o di ciascuna porzione di piano.Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente.Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. Esso può essere impugnato dal singolo condomino (v. risposta specifica).Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137 c.c. e 72, 155 disp. att. c.c.
Quali sono le funzioni dell'assemblea dei condomini?

Quali sono le funzioni dell'assemblea dei condomini?

L'assemblea dei condomini provvede (art. 1135 c.c.): alla nomina, alla conferma e alla revoca (art. 1129 c.c., v. risposta specifica) dell'amministratore e alla sua eventuale retribuzione; all'approvazione del preventivo delle spese occorrenti durante l'anno e alla relativa ripartizione tra i condomini; all'approvazione del rendiconto annuale dell'amministratore e all'impiego del residuo attivo della gestione; alle opere di manutenzione straordinaria, costituendo, se occorre, un fondo speciale; a promuovere una lite o a decidere di resistere ad una domanda (art. 1132 c.c.); all'autorizzazione delle spese fatte urgentemente per le cose comuni dal singolo condomino (art. 1134 c.c.); a giudicare sui ricorsi avverso i provvedimenti presi dall'amministratore nell'ambito dei suoi poteri (art. 1133 c.c.); all'approvazione del regolamento di condominio (art. 1138 c.c.) ed eventualmente delle tabelle millesimali (art. 1123 c.c.); al conferimento all'amministratore di maggiori poteri rispetto a quelli stabiliti dalla legge (art. 1131 c.c.); alla delibera di ricostruzione delle parti comuni dell'edificio in caso di perimento parziale dell'edificio (art. 1128 c.c.); a disporre l'esecuzione di innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 c.c., v. risposta specifica); L'amministratore non può ordinare opere di manutenzione straordinaria, salvo che rivestano carattere URGENTE, ma in questo caso deve riferire nella prima assemblea.
Quando un'assemblea è regolarmente costituita?

Quando un'assemblea è regolarmente costituita?

L’assemblea è regolarmente costituita con l’intervento di tanti condomini che rappresentino i due terzi del valore dell’intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.L'assemblea delibera con le maggioranze previste all'art. 1136 (v. risposta successiva).L’assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione.L’avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza (art. 66 disp. att. c.c.). Delle deliberazioni dell’assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto dall’amministratore.L’assemblea (art. 66 disp.att. c.c.), oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall’art. 1135 c.c., può essere convocata in via straordinaria dall’amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell’edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione. In mancanza dell’amministratore, l’assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino.Ogni condomino può intervenire all’assemblea anche a mezzo di rappresentante.Qualora un piano o porzione di piano dell’edificio appartenga in proprietà indivisa a più persone, queste hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, che è designato dai comproprietari interessati; in mancanza provvede per sorteggio il presidente.L’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni.Nelle deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni od opere di manutenzione straordinaria delle parti comuni dell’edificio il diritto di voto spetta invece al proprietario.
Come si deve impugnare una delibera assembleare?

Come si deve impugnare una delibera assembleare?

Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente o dissenziente può fare ricorso all’autorità giudiziaria (art. 1137 c.c.).Il ricorso non sospende l’esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità stessa.È altresì legittimato a far valere la nullità di una delibera, il condomino che, pur avendo votato conformemente, dimostri di avere interesse a far valere la nullità, in quanto leso dalla delibera [cass. 3232/82 e 1511/97].Il ricorso deve essere proposto, sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
Come fare quando vengono violate le norme condominiali?

Come fare quando vengono violate le norme condominiali?

Ma possono esservi anche ragioni di altra natura come quelle legate al disturbo della quiete del condominio o altro ancora. Data la frequenza di tali eventi questa guida dà delle precise indicazioni su come fare quando vengono violate delle norme condominiali. Le parti in comune di un condominio, di solito, sono le seguenti: vani scala e pianerottoli, corridoi di disimpegno di cantine e solai, ascensori, cortili e altro. Le violazioni più comuni di norme condominiali sono: l'occupazione di parti comuni con beni privati, l'immissione di odori o rumori nelle parti comuni oltre la normale tollerabilità, l'alterazione dell'estetica o funzionalità di parti comuni, l'utilizzo di tali parti con incremento della naturale usura con conseguente aumento dei costi di manutenzione. Cosa si può fare di fronte ad una violazione condominiale? Intanto è opportuno far notare che qualunque condomino ha il diritto/dovere di intervenire per porre fine ad un abuso anche se l'organo deputato a tale funzione è l'amministratore di condominio come previsto dall'art. 1130 CC. Diciamo che la prima cosa da fare è la classica raccomandata indirizzata all'amministratore di condominio per denunciare l'abuso commesso. A volte un semplice colloquio tra le parti può essere sufficiente ad evitare il ricorso a lunghi e dispendiosi contenziosi giuridici. Laddove non si riuscisse a dirimere la controversia allora restano fondamentalmente 3 strade: La Sanzione Condominiale, il Ricorso all'Autorità Amministrativa e il Ricorso all'Autorità Giudiziaria. La Sanzione Condominiale è la soluzione più usuale in caso di violazioni dei condomini Essa deve, però, essere contemplata nel regolamento condominiale per poter essere applicata. La multa viene riportata nel consuntivo condominiale come entrata particolare derivante da onere del condomino resosi responsabile dell'abuso Il ricorso all'Autorità Amministrativa, invece, si adotta laddove l'abuso rientri in una più generale violazione di leggi o regolamenti a tutela dell'interesse pubblico Si tratta dei classici ricorsi ad autorità come i Vigili del Fuoco, i Vigili Urbani, l'ASL etc E come tale risulta collegato ai tempi necessari Più o meno lunghi che siano Questo è il limite di una soluzione del genere.  L'opzione del ricorso all'Autorità Giudiziaria viene presa in considerazione come ultima spiaggia. Questo tipo di soluzione è certamente molto efficiente nel risultato in quanto ovemai si dovesse ottenere una sentenza favorevole da parte del ricorrente questi potrebbe avvalersi dell'uso della forza pubblica per ristabilire l'ordine violato magari ripristinando l'utilizzo di un bene condominiale o liberando zone abusivamente occupate. Tuttavia il ricorso al Giudice ha il limite nel fatto che la procedura è abbastanza lenta oltre che costosa causa la necessaria assistenza di un avvocato. È evidente che una soluzione di questo tipo non è praticabile per le piccole violazioni quotidiane per le quali lo strumento della multa si adatta meglio. Recentemente è stata adottata la riforma del condominio (Legge 220 del 11/12/2012) che punta a limitare il più possibile il ricorso al giudice. In particolare l'art. 70 prevede che il regolamento di condominio può contemplare il ricorso alla multa per un importo fino a 200 euro. Nel caso di recidiva l'importo sale a 800 euro.
Condominio in autogestione e condomini facente funzione dell'amministratore

Condominio in autogestione e condomini facente funzione dell'amministratore

In sostanza in queste compagini, i condòmini possono decidere di autogestirsi, ossia di non demandare la gestione delle parti comuni ad una persone specificamente nominata. In questi casi, non è raro, si finisce per individuare in uno dei condòmini, a turno o sempre nello stesso, una sorta di factotum addetto al disbrigo delle questioni comuni.Insomma non è raro sentir parlare di quella persona che, nell'ambito del condominio, si occupa di raccogliere i soldi per pagare le utenze comuni, ecc. ecc. Di tale figura ne era consapevole perfino il Legislatore (ahinoi spesso colpevolmente inconsapevole di molti fatti che regolano i rapporti quotidiani, da qui l'insensatezza di molte leggi) il quale, con la riforma del condominio, ha inserito nell'art. 1129 c.c. il sesto comma che recita: In mancanza dell'amministratore, sul luogo di accesso al condominio o di maggior uso comune, accessibile anche ai terzi, è affissa l'indicazione delle generalità e dei recapiti, anche telefonici, della persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore. In buona sostanza nei condomini che non hanno un amministratore, ma esistono persone che svolgono funzioni analoghe ad esso la così detta targa dell'amministratore dev'essere sostituita da una targa del “facente funzioni”. Anche questa norma, pur partendo dalla consapevolezza dell'esistenza dei così detti capiscala, finisce per creare un artificio pasticciato e di sostanziale impossibile applicazione. Nessun, così detto, caposcala ha effettivi poteri di rappresentanza né svolge funzioni analoghe a quelle dell'amministratore. L'amministratore assume il compito di porre in essere una serie complessa e variegata di atti e comportamenti che il caposcala, nemmeno lontanamente assume.Raccogliere i soldi per pagare la bolletta, cosa spesso fatta dal caposcala, non vuol dire assumere lo svolgimento di funzioni analoghe all'amministratore.Assume tali funzioni, ad esempio, il condomino che durante i lavori di ristrutturazione si prende l'impegno di porre in essere tutto le operazioni necessarie ed indispensabili per usufruire delle agevolazioni fiscali. In questo caso e solamente per questo periodo, dovrebbe essere esposta fuori dall'edificio o comunque in luogo visibile anche ai terzi (in sostanza quasi sempre vicino ai citofoni o al portone d'ingresso) una targa con il nome del facente funzione.Facente funzione che, tuttavia, non ha alcun potere di rappresentanza degli altri condòmini. La rappresentanza in condominio, infatti, non è conferibile per fatti concludenti ma solamente a seguito di apposita investitura formale che coincide con la nomina ad amministratore di condominio.In questo contesto, pertanto, indicare il nome del facente funzione sulla targa esterna, serve a poco o a nulla: a lui non si possono inviare comunicazioni d'interesse condominiale, né atti giudiziari che riguardano la compagine: in tal caso bisognerebbe citare tutti i condòmini oppure agire ai sensi dell'art. 65 disp. att. c.c. ossia chiedere la nomina di un curatore che li rappresenti univocamente.E quindi a che cosa serve esattamente il sesto comma dell'art. 1129 c.c.? Praticamente a nulla!
Entro quali limiti i singoli condomini possono utilizzare le parti condominiali?

Entro quali limiti i singoli condomini possono utilizzare le parti condominiali?

Anche nel condominio degli edifici trova applicazione il principio dettato in materia di comunione e contenuto nell’art. 1102 c.c., che consente al singolo condomino di usare della cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di trarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali a favore degli altri condomini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi.Ad esempio, in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l’uso dell’ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condomino solo qualora venga concretamente e specificatamente accertato che esso risulti dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condomini, in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e all’eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate, tenendo conto di ogni altra circostanza rilevante per accertare le eventuali conseguenze pregiudizievoli che, in ciascun caso concreto, possono derivare del suddetto uso particolare dell'ascensore [Cass. 6-4-82, n. 2117, rv. 419989; Cass. 6-9-82, n. 686].
Che tipo di innovazioni possono essere fatte sulle parti condominiali?

Che tipo di innovazioni possono essere fatte sulle parti condominiali?

L'assemblea, con un numero di voti che rappresenta la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio, può disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni (art. 1120 c.c.).Deroghe a tali maggioranze sono previste in tema di delibere relative all’adozione di impianti di termoregolazione e di contabilizzazione del calore (art. 26, L. 9.1.1991, n. 10 [Norme per l’attuazione del piano energetico nazionale]; anche artt. 17 e 123, co. 5, D.P.R. 6.6.2001, n. 380 [T.U. edilizia]) e in tema di interventi di recupero previsti dalla l. 5-8-1978, n. 457 (art. 15, L. 17.2.1992, n. 179 [Norme per l’edilizia residenziale pubblica]) e in tema di eliminazione delle barriere architettoniche (art. 78, c. 3, D.P.R. 380/2001).Sono vietate le innovazioni che possono recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato, che ne alterano il decoro architettonico o che rendono talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.Qualora l’innovazione importa una spesa molto gravosa o ha carattere voluttuario rispetto alle particolari condizioni e all’importanza dell’edificio, e consiste in opere, impianti o manufatti suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da qualsiasi contributo nella spesa (art. 1121 c.c.). Se l’utilizzazione separata non è possibile, l’innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei condomini che l’ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa. I condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque tempo, partecipare ai vantaggi dell’innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione dell’opera.Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione (art. 1123 c.c.).Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.
Quale maggioranza è necessaria per poter installare un ascensore?

Quale maggioranza è necessaria per poter installare un ascensore?

L'art. 24 della L. 104/92, prevede che la delibera per l'installazione di un ascensore possa essere approvata con un numero di voti che rappresenta la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio, oppure anche con un numero di voti che rappresenta il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell’edificio, se l'assemblea è in seconda convocazione.Comunque l'ascensore dovrà rispettare le dimensioni previste dal D.P.R. n. 236/89.
Quale maggioranza è necessaria per poter installare o modificare il sistema di riscaldamento?

Quale maggioranza è necessaria per poter installare o modificare il sistema di riscaldamento?

L'art. 26, co. 5, della L. 9.1.1991, n. 10 prevede che per le innovazioni relative all'adozione di sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore e per il conseguente riparto degli oneri di riscaldamento in base al consumo effettivamente registrato, l'assemblea di condominio decide a semplice maggioranza, derogando alle maggioranze qualificate richieste invece dagli articoli 1120 e 1136 c.c.
Cassetta della posta strapiena, che fare?

Cassetta della posta strapiena, che fare?

Ben poco, se non chiedere al condomino, eventualmente anche con una lettera di diffida, di prestare attenzione alla propria corrispondenza.  Sicuramente nessuno condomino e nemmeno l'amministratore o il portiere possono distruggere o buttare la corrispondenza. Si tratterebbe di un reato, esattamente quello previso dell'art. 616 del codice penale, che recita:Chiunque prende cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrae o distrae, al fine di prenderne o di farne da altri prender cognizione, una corrispondenza chiusa o aperta, a lui non diretta, ovvero, in tutto o in parte, la distrugge o sopprime, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa da trenta euro a cinquecentosedici euro.Se il colpevole, senza giusta causa, rivela, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, è punito, se dal fatto deriva nocumento ed il fatto medesimo non costituisce un più grave reato, con la reclusione fino a tre anni.Il delitto è punibile a querela della persona offesa.Agli effetti delle disposizioni di questa sezione, per "corrispondenza" s'intende quella epistolare, telegrafica o telefonica, informatica o telematica ovvero effettuata con ogni altra forma di comunicazione a distanza. La sottrazione o distrazione della corrispondenza, ai fini della configurazione del reato devono essere fatte al fine di prendere cognizione o farla prendere ad altri. Non commette tale reato chi si impossessa temporaneamente della corrispondenza al fine di consegnarla al diretto interessato assente. In un caso simile a quello indicato, in sostanza, raccogliere e conservare la corrispondenza non sarebbe reato se tutto ciò fosse finalizzato a consegnare al momento della presenza in condominio. Ad avviso di chi scrive, però, è bene assumersi un compito del genere solamente previo accordo con l'interessato.Il reato, invece, si configura se un condomino prende la corrispondenza del proprio vicino e la getta nella spazzatura. Si tratta di reati punibili a querela, ossia su istanza della persona offesa e quindi del condomino che s'è visto sottrarre le missive.E quindi?Ad avviso di scrive, la soluzione migliore è quella di domandare al proprio vicino maggiore attenzione, facendola anche con una formale diffida, volta a chiedergli di fare in modo che la sua corrispondenza non divenga non problema per le parti comuni e quindi per gli altri condòmini. Diffida che è meglio consegnare a mani visto lo stato della sua corrispondenza.
Orario per l'utilizzazione degli elettrodomestici in condominio

Orario per l'utilizzazione degli elettrodomestici in condominio

i pensi a lavatrice, aspirapolvere, trapani, ecc.La risposta non è univoca, ossia tali norme possono esistere e per saperlo bisogna guardare a due tipologie di fonti normative:a) il regolamento di polizia urbana del Comune in cui è ubicato l'immobile;b) il regolamento condominiale. Regolamento di polizia urbana Portiamo l'esempio del regolamento di polizia urbana della Città di Milano. L'art. 83, di tale regolamento recita: E' vietato nella casa fare rumori incomodi al vicinato ed uso eccessivo di strumenti musicali e simili, specialmente dalle 22 alle ore 8. Allo stesso modo il regolamento di polizia urbana della Città di Firenze, all'art. 25 specifica che "è fatto divieto a chiunque di recare disturbo, [...], con rumori, schiamazzi, strumenti musicali o altri mezzi di diffusione".Le norme, chiaramente, non si riferiscono esclusivamente all'utilizzazione di elettrodomestici, ma impongono un generale divieto di recare disturbo. È altresì evidente che le norme non impongono il silenzio. La rumorosità è elemento spesso inscindibile rispetto all'esercizio di determinate attività o all'uso di specifici oggetti. Ciò che le norme pretendono è, nella sostanza, l'utilizzazione in modo tale da non recare disturbo. Un conto è utilizzare una lavatrice durante la giornata, altro farlo nel cuore della notte.Eppure qualcuno potrebbe obiettare che proprio nelle ore serali è più conveniente utilizzare questo elettrodomestico per ragioni di risparmio (l'energia spesso costa di meno nelle ore serali). Vero, ma allora bisognerà fare in modo che l'uso non avvenga nelle ore del riposo notturno, ma ad esempio, prima delle 22.In tali casi l'accertamento delle violazione è rimesso alla polizia locale, che dev'essere chiamata ad intervenire. Regolamento condominiale  Il regolamento condominiale, se di natura contrattuale (ossia accettato da tutti i condòmini al momento dell'acquisto dell'unità immobiliare dall'originario unico proprietario o anche formato successivamente), può contenere norme che limitino le facoltà d'uso dei singoli comproprietari sulle parti comuni e su quelle di proprietà esclusiva.Insomma il regolamento condominiale contrattuale potrebbe vietare l'utilizzazione di lavatrici, aspirapolvere ed in generale di elettrodomestici rumorosi dentro determinate fasce orarie.La violazione del regolamento condominiale può essere sanzionate con il pagamento di somme di denaro e se non può comunque chiedere la cessazione anche all'Autorità Giudiziaria. Elettrodomestici rumorosi e codice civile Se il regolamento di polizia urbana e quello condominiale non dovessero disporre nulla in merito ai rumori o comunque in ausilio a queste norme, resta sempre applicabile l'art. 844 c.c. che disciplina le immissioni intollerabili.In sostanza chi ritiene che la lavatrice del vicino causi un rumore intollerabile potrebbe chiedere all'Autorità Giudiziaria di accertare tale intollerabilità (che dev'essere provata da chi la lamenta) al fine di ottenere l'inibizione di quel comportamento. Un'ipotesi, ad avviso di chi scrive, davvero molto improbabile.
Orari dei lavori di ristrutturazione e rimedi

Orari dei lavori di ristrutturazione e rimedi

Gli operati, infatti, lavorano incessantemente dalla mattina presto alla sera tardi; ho provato a chiedere spiegazioni - chiarendo anche i motivi delle mie rimostranze (ho un bambino piccolo che non dorme più da quando è iniziata la ristrutturazione) - ma mi sono sentito rispondere che devono fare in fretta perché la casa serve subito al proprietario.Credo che questo loro modo di operare non sia giusto, che cosa posso fare per tutelare le mie ragioni?Questo il problema concernente gli orari dei lavori di ristrutturazione che ci è stato posto dal nostro lettore. Diciamola tutta: al di là del caso specifico (presenza di un bambino piccolo), il fastidio causato dagli interventi manutentivi è spesso causa di litigio in condominio o comunque con i propri vicini.Chi subisce un simile comportamento ha tre possibili modi di agire percorrendoli alternativamente o tutti e tre assieme. Vediamo quali. Azione amministrativa Si prenda ad esempio il regolamento di polizia urbana del Comune di Milano, il quale all'art. 101, vieta l'esecuzione di lavori dalle 19 alle 7 da aprile ad ottobre dalle 20.00 alle 6 negli altri mesi. Sul sito istituzionale del Comune meneghino è specificato che "per effettuare lavori nella fascia oraria compresa tra le 19.00 e le 7.00 nei mesi da ottobre ad aprile e tra le 20.00 e le 6.00 negli altri mesi, è necessario ottenere l'autorizzazione comunale in deroga all'art. 101 del Regolamento di Polizia Urbana del Comune di Milano".Il Comune di Roma, più dettagliatamente, specifica nel regolamento di polizia urbana, rumori e soglie massime e minime http://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/Regol_di_Pol_Urb_definitivo.pdfPer prendere l'esempio di una città più piccola, a Lecce, nel regolamento di polizia urbana è stabilito che:Qualsiasi esercizio di professioni, arti o mestieri rumorosi o incomodi dovrà svolgersi nel seguente periodo di tempo:- dal 15 maggio al 15 settembre dalle ore 6,30 alle ore 19,30 con interruzione dalle ore 14 alle ore 17;- dal 16 settembre al 14 maggio dalle ore 7 alle ore 19 con interruzione dalle ore 13,30 alle ore 14,30.L'esercizio delle attività e dei mestieri rumorosi nei cantieri edili dovrà osservare il seguente orario di lavoro:- dal 15 maggio al 15 settembre dalle ore 6,30 alle ore 14,30;- dal 16 settembre al 14 maggio dalle ore 7 alle ore 16 con interruzione dalle ore 13 alle ore 14. Insomma se i lavori sono eseguiti fuori orario si può chiamare la polizia municipale per ottenere il sanziona mento del trasgressore, Azione civile e regolamento di condominio Oltre a richiedere l'osservanza delle norme amministrative, chi ritiene di aver subito un danno dall'eccessivo rumore causato può agire ai sensi dell'art. 844 c.c. in primis per ottenere l'inibitoria o comunque per fare in modo che siano posti in essere i rimedi più opportuni, salvo il diritto ad agire per il risarcimento del danno.Resta inteso che ciascun condomino può sempre pretendere il rispetto del regolamento di condominio, se lo stesso prevede delle fasce orarie durante le quali è prevista l'esecuzione dei lavori; queste possono essere più stringenti di quelle comunali, ma mai più permissive. Azione penale L'extrema ratio, insomma quella d'attivare solamente nel caso di impossibilità di risoluzione del problema in modo diverso, è quella dell'esposto denuncia ai sensi dell'art. 659 c.p.; condizione per la configurazione del reato è che il rumore disturbi un numero indeterminato di persone.
Lavatrici di notte e rumore di tacchi c'è lo stessometro di condominio

Lavatrici di notte e rumore di tacchi c'è lo stessometro di condominio

Alzi la mano chi non si è mai lamentato per il comportamento di un vicino e poi ha sognato di andare ad abitare in una casa monofamiliare o, potendo, in una villa.E anche le semplici rimostranze, per non parlare delle liti violente, amareggiano la vita quotidiana e spesso portano in tribunale. Allora occorre stemperare la tensione dei condomini, provati dai rumori molesti come i tacchi in azione sul pavimento della casa di sopra, oppure la lavatrice della vicina accesa appena si è andati a letto o ancora sopportare il cane che abbaia nell'appartamento accanto. Confedilizia ci prova da dieci anni con la Festa del condominio, appuntamento in programma sabato nelle strade, piazze, giardini e cortili condominiali di diverse città d'Italia, a tre mesi dall'entrata in vigore della riforma del condominio.Per l'occasione sarà presentato lo ‘stressometro', questionario destinato a misurare le più importanti cause di ansia e disagi tra le persone che vivono nello stesso stabile. E non sono poche: 30 milioni di italiani. «Vogliamo dimostrare che nel condominio è invece possibile tenere rapporti civili», spiega Corrado Sforza Fogliani, presidente di Confedilizia. E lo sanno bene coloro che organizzano sempre la merenda alla fine delle assemblee. Quindi, il panorama è multiforme. Nello ‘stressometro', due filoni di domande: le relazioni tra condomini e con l'amministratore. Si vuole scoprire se nei palazzi c'è un filo di convivenza civile, «senza la quale risulta più difficile affrontare le questioni economiche», precisano i legali della Confederazione della proprietà edilizia.Bisognerà anche dire, tra le risposte, se i vicini sono mai stati invitati a compleanni, battesimi o comunioni e se si chiacchiera volentieri con qualche famiglia della stessa scala. Intanto, osserva Confedilizia, è recente una sentenza della Cassazione su un caso di molestia condominiale: una signora per infastidire una vicina a lei antipatica puliva parti comuni del palazzo con detersivi che davano allergia.
Condominio, non è reato offendere l'incapace ditta edile.

Condominio, non è reato offendere l'incapace ditta edile.

Aver inviato una mail contenente vibranti proteste (e minaccia di azioni legali) all'amministratore di una ditta cui aveva affidato dei lavori di ristrutturazione: per queste ragioni il Giudice di Pace di Roma ha condannato un soggetto reo a suo dire, appunto, di aver contestato l'operato della ditta che aveva lui stesso incaricato di compiere dei lavori edili. La sua colpa sarebbe stata quella di aver offeso il destinatario della missiva, contenente secondo il Giudice frasi diffamatorie. L'imputato non ci sta a subire una condanna, oltre a ritrovarsi anche con dei lavori mal fatti: quelle 400 euro di multa non gli vanno proprio giù e per questo decide di ricorrere in Cassazione. E fa bene: il Supremo Collegio, infatti, ribaltando completamente il verdetto espresso in primo grado, lo assolve con formula piena. Una mail, inviata ad un solo individuo, non integra diffamazione. Innanzitutto gli Ermellini bacchettano il frettoloso Giudice di Pace per aver ritenuto configurabile il reato di diffamazione in un'ipotesi in cui tale delitto non può assolutamente sussistere.  Infatti "le espressioni offensive, per quanto percepibili anche da soggetti ulteriori, erano contenute in una comunicazione inviata all'indirizzo di posta elettronica della società cui l'imputato intendeva rivolgere il proprio disappunto, e dunque - almeno in prima battuta - a chi era preposto alla gestione della stessa. In tale fattispecie sarebbe al più ravvisabile una ingiuria e non già una diffamazione" (Cass. Pen., sent. n. 46458 dell'11/11/2014).La diffamazione, come noto, consiste in un'offesa pronunciata divulgata a più persone (o in modo tale che più persone l'ascoltino) e dunque richiede, per la sua sussistenza, che il soggetto agente voglia in effetti ingiuriare qualcuno in modo che altri lo sappiano. È necessario cioè l'intento di screditare l'onorabilità di qualcuno presso più persone. (All'amministratore di condominio è consentito offendere?)Nel caso di specie, invece, poiché la lettera era indirizzata direttamente (e solo) al soggetto cui erano rivolte le offese, l'eventuale reato commesso sarebbe quello di cui all'art. 594 cod. pen. (appunto di ingiuria), al massimo aggravato secondo quanto previsto dall'ultimo comma di tale norma. L'ingiuria non è ingiuria se si esercita il diritto di critica. Ma al di là di tale motivo di nullità della sentenza impugnata, al di là cioè dell'errata qualificazione giuridica dei fatti compiuta dal Giudice di Pace, la Cassazione entra anche nel merito delle affermazioni incriminate e ne determina la liceità, dichiarandole espressamente non costituenti reato.A parere degli Ermellini, infatti, poiché l'imputato aveva commissionato dei lavori alla ditta, aveva anche il diritto di esprimere il suo parere e muovere eventuali censure nei confronti dell'appaltatrice ove, come accaduto, i lavori non fossero stati effettuati a regola d'arte. Almeno secondo lui.Egli, quindi, ben poteva esprimere disappunto per dei lavori non realizzati secondo quanto promesso, trovandosi al cospetto così di aspettative del tutto tradite.Al committente, in sostanza, è garantito il diritto di critica, ossia di esprimere censurare anche con formule non certo lievi e non propriamente cordiali.Ma la critica dev'essere contenuta e continente. Diritto di critica, anche colorita, ma non di offesa gratuita però.  E secondo i Giudici di Piazza Cavour nel caso di specie l'imputato, pur avendo utilizzato "espressioni di forte censura, invocando la grossolanità delle imperizie che egli aveva ritenuto di riscontrare e parlando di incapacità e millanterie rispetto alla professionalità che gli era stata garantita" tuttavia "non ha valicato i limiti della continenza, da intendere superati solo al cospetto di "espressioni che, in quanto gravemente infamanti e inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto criticato" (Cass. Pen., sent. n. 46458 dell'11/11/2014).Per questo le sue censure, pur forti e disprezzanti, non possono integrare gli estremi del reato di ingiuria poiché provenienti da un soggetto che ha il diritto di esprimere disappunto purché senza trascendere in offese gratuite ed eccessive. L'amministratore ruba i miei soldi, se lo dici davanti almeno a due persone allora è diffamazioneCerto non è sempre semplice capire quando l'ingiuria è scusabile e quando invece il limite è oltrepassato: il buon senso dovrebbe bastare a consentire di comprendere quando la censura diventa offesa e quando invece la contestazione resta solo critica.In linea di massima può affermarsi che se la contestazione riguarda le opere e non gli operatori sarà sempre difficile vedervi una lesione all'onore ed al decoro (e quindi il reato): diversamente, laddove si offenda la persona anziché denigrare l'opera, il passo verso l'ingiuria sarà brevissimo.

 

Affitti e Locazioni

I diritti dell'inquilino

I diritti dell'inquilino

L'inquilino, a meno che non sia anche proprietario di altra unità immobiliare situata nell'edificio condominiale, non è legittimato a sollecitare interventi sulle parti comuni.Se però si tratta di contrastare una molestia di fatto portata da terzi ( per esempio stillicidio, proveniente dal tetto, sul balcone dell'appartamento condotto in locazione ) l'inquilino può agire direttamente nei confronti del condominio, chiedendo che venga rimosso il lamentato inconveniente ( secondo comma articolo 1585 Codice civile ).La locazione è regolamentata dall'articolo 1571 del codice civile e viene definita come un contratto con il quale una parte, il locatore, si impegna a concedere ad un'altra parte, il conduttore, il godimento di una cosa mobile o immobile per un dato tempo, dietro il pagamento di un determinato corrispettivo. La normativa stabilisce che un contratto che si riferisce all'affitto di un'unità abitativa, obbligatoriamente, deve avere la forma scritta, pena l'annullamento dello stesso. Dal contratto d'affitto di una abitazione nascono, sia a carico del proprietario che a carico dell'inquilino, diritti e doveri reciproci. Chi cede in affitto una casa ha dei doveri nei confronti dell'inquilino e quei doveri del proprietario diventano diritti per l'inquilino e viceversa. Doveri del locatore (o proprietario) - art. 1575 codice civile Il locatore deve garantire e consegnare la casa in un buono stato di manutenzione. L'immobile non deve quindi necessitare di nessuna riparazione o altro intervento prima che l'inquilino vi entri;ha l'obbligo di farsi carico delle riparazioni che sono necessarie per mantenere il buono stato della casa e per garantirne l'idoneità per tutta la durata del rapporto di affitto, fatte salve solo quelle di piccola manutenzione, che sono a carico del conduttore;ha l'obbligo di farsi carico delle opere di manutenzione straordinaria richieste dalle condizioni in cui si trova l'immobile;ha l'obbligo di garantire all'inquilino il pacifico godimento della casa nell'ipotesi che qualcuno possa avanzare pretese sullo stesso;spetta sempre al proprietario l'adeguamento dell'immobile alle nuove disposizioni di legge, ogni volta che queste vengono emanate; Doveri del conduttore (o inquilino) - art. 1587 codice civile Il conduttore ha l'obbligo di servirsi della casa per l'uso determinato dal contratto e usando la "diligenza del buon padre di famiglia"; ha l'obbligo di pagare il corrispettivo periodico alla scadenza prestabilita, rispettando sempre le modalità di pagamento pattuite; ha l'obbligo di restituire la casa alla scadenza del contratto nello stesso stato in cui si trovava quando gli è stata consegnata; ha l'obbligo di rispondere della perdita e del deterioramento della cosa avvenute nel corso della locazione, anche se causate da un incendio, qualora non venga provato che siano accaduti per fatti non imputabili all'inquilino; in caso voglia apportare dei cambiamenti all'abitazione, l'inquilino deve chiedere il permesso al proprietario. Questo serve ad evitare che il proprietario, alla fine del contratto di locazione, pretenda che l'abitazione torni come era prima. A meno che non abbia chiesto, e ottenuto, preventivamente il consenso del proprietario, l'inquilino non ha il diritto di chiedergli il pagamento delle spese sostenute per i miglioramenti apportati;le riparazioni urgenti possano essere eseguite direttamente dal conduttore, salvo rimborso da parte del proprietario, purché gliene sia data contestuale comunicazione;Oltre all'affitto mensile, ci sono varie spese che un inquilino deve sostenere regolarmente: spese di consumo (energia elettrica, acqua, gas, tassa per lo smaltimento dei rifiuti, riscaldamento), eventuali spese per pulizie e luce delle scale e spese condominiali o eventuali lavori di miglioria dell'appartamento. Mentre al proprietario spettano le "spese straordinarie", come il rifacimento della facciata del palazzo, eventuali danni interni non causati dall'inquilino, etc..Consulta la Tabella Riassuntiva sulla ripartizione tra inquilino (detto Conduttore, indicato con la lettera C) e proprietario (detto Locatore indicato con la lettera L) delle spese di gestione da sostenere (oneri accessori).
Locazione per periodo inferiore a trenta giorni

Locazione per periodo inferiore a trenta giorni

Partiamo dal dato certo, o che almeno appare tale leggendo l'art.1, quarto comma, l. n. 431/98. A mente di tale disposizione i contratti di locazione ad uso abitativo devono avere la forma scritta. Non soggiacciono alle regole dettate in materia di durata e contenuto quelli conclusi per finalità turistiche.Il contratto di locazione concluso verbalmente è valido? Dottrina e giurisprudenza sono divise sulla sanzione nel caso di conclusione verbale del contratto: non sono mancate pronunce che hanno stabilito la nullità assoluta degli accordi conclusi in tale forma (App. Roma 12 maggio 2010 n. 1424). Ciò detto e a scanso di equivoci: è bene che anche per poche settimane sia sottoscritto un accordo disciplinante i vari aspetti della locazione (es. modalità di pagamento, eventuale caparra, contribuzione alle spese per i servizi condominiali ed individuali, ecc.). Passiamo adesso ai profili tributari della vicenda: ai sensi dell'art. 2-bis Tariffa II Parte II del d.p.r. n. 131/86 non sono soggetti a registrazione in termine fisso, ma solamente in caso d'uso, i contratti di locazione di immobili per periodi di tempo non superiore a trenta giorni complessivi nell'arco di un anno.Mancata registrazione della locazione: la nullità scatta solo per i contratti stipulati dopo il 1° gennaio 2005. La mancanza di obbligo di registrazione (eccezion fatta per il caso d'uso, ossia deposito presso le cancellerie dei Tribunale per espletamento di attività amministrative o presso altri uffici pubblici, cfr. art. 6 d.p.r. n. 131/86) non vuol dire mancanza di obbligo di denuncia di quei proventi nella dichiarazione dei redditi. Il canone di locazione percepito, infatti, andrà denunciato nella dichiarazione dei redditi che si andrà a presentare l'anno successivo a quello d'imposta nel quale sono stati incassati.Nel caso di canone locatizio superiore ad € 1.000,00 sarà necessario effettuare il pagamento mediante bonifico bancario (cfr. art. 1, cinquantesimo comma, n. 147/13 e Nota Ministero economia e finanze n. 10492/DT del 5 febbraio 2014).
Anagrafe condominiale, perchè bisogna comunicare il cambio d'inquilino?

Anagrafe condominiale, perchè bisogna comunicare il cambio d'inquilino?

Partiamo da un brevissimo cenno al così detto registro di anagrafe condominiale. Si tratta di una delle novità introdotte dalla riforma del condominio, uno dei quattro registri (assieme a quello dei verbali, di contabilità e di nomina e revoca) che l'amministratore deve tenere e mettere a disposizione dei condòmini per la libera consultazione l'estrazione di copie a pagamento.Il registro di anagrafe non è obbligatorio nei condomini in cui non è obbligatoria la nomina dell'amministratore, fintanto che lo stesso non venga comunque nominato. Come dire: la tenuta di questo documento è mansione specificamente riconducibile all'amministratore e non al condominio (che ad esempio deve sempre essere dotato di codice fiscale).Le informazioni che devono essere contenute nel registro di anagrafe condominiale sono varie e tutte individuate dall'art. 1130 n. 6 c.c.; tra di esse la norma menziona "le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e di diritti personali di godimento, comprensive del codice fiscale e della residenza o domicilio". Sul mio appartamento grava un diritto d'usufrutto? Devo comunicare all'amministratore generalità (nome, cognome, data e luogo di nascita), il codice fiscale e la residenza o il domicilio dell'usufruttuario. Ho concesso la mia unità immobiliare in locazione? Idem.Lo stesso art. 1130 n. 6 c.c. specifica che "ogni variazione dei dati deve essere comunicata all'amministratore in forma scritta entro sessanta giorni. L'amministratore, in caso di inerzia, mancanza o incompletezza delle comunicazioni, richiede con lettera raccomandata le informazioni necessarie alla tenuta del registro di anagrafe. Decorsi trenta giorni, in caso di omessa o incompleta risposta, l'amministratore acquisisce le informazioni necessarie, addebitandone il costo ai responsabili".Come dire: devo comunicare all'amministratore tutto ciò che riguarda questi aspetti, altrimenti lui può reperirli di propria iniziativa facendomi pagare il costo della ricerca (e l'onorario per la stessa se "messo chiaramente in preventivo", cfr. art. 1129, quindicesimo comma, c.c.). Il problema, se così si può dire, rispetto ai dati del conduttore è che non esiste alcuna anagrafe pubblica dei contratti di locazione. Mentre per l'usufrutto è sufficiente effettuare una ricerca nei pubblici registri immobiliari, o per la residenza presso l'ufficio anagrafe del Comune, per gli affitti (siano essi ad uso abitativo o ad uso diverso) non è così. Esiste una norma esattamente l'art. 18, terzo comma, d.p.r. n. 131/86, che recita: "su richiesta delle parti contraenti, dei loro aventi causa o di coloro nel cui interesse la registrazione è stata eseguita, l'ufficio del registro rilascia copia delle scritture private, delle denunce e degli atti formati all'estero dei quali è ancora in possesso nonché delle note e delle richieste di registrazione di qualunque atto pubblico o privato. Il rilascio di copie ad altre persone può avvenire soltanto su autorizzazione del pretore competente. Nei casi previsti dall'art. 17 in luogo del rilascio della copia è attestato il contenuto del modello di versamento".Insomma l'amministratore per conoscere il nome del conduttore, meglio per avere certezza, a meno che questo non si palesi personalmente, potrebbe adire un giudice. Al condomino, quindi, anche se praticamente questa pare una soluzione remota, conviene collaborare e rispondere alla richiesta.
il contratto di comodato d'uso gratuito dev'essere registrato?

il contratto di comodato d'uso gratuito dev'essere registrato?

Che voi sappiate è vero?Questa la domanda che è giunta alla nostra redazione e che, alla pari del titolo dell'articolo, è spesso foriera di discussioni nel nostro forum.  Che cos'è la registrazione?La registrazione presso l'agenzia delle entrate è l'atto attraverso il quale il contribuente consente la sottoposizione dell'atto giuridico all'imposta di registro; la normativa che disciplina l'imposta di registro e quindi la registrazione è il Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 contenente il testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro (d'ora in poi anche d.p.r. n. 131/86 p più semplicemente d.p.r.).  Quali sono gli atti che devono essere registrati e qual è la misura dell'imposta applicabile?Ai sensi dell'art. 1 del d.p.r. n. 131/86L'imposta di registro si applica, nella misura indicata nella tariffa allegata al presente testo unico, agli atti soggetti a registrazione e a quelli volontariamente presentati per la registrazione.In buona sostanza o è la legge ad imporre la registrazione oppure sono le parti a poterla scegliere (pagando l'imposta prevista).  Perché è utile sottoporre a registrazione un atto?Ai sensi dell'art. 19, primo comma, del d.p.r.:La registrazione, eseguita ai sensi dell'art. 16, attesta l'esistenza degli atti ed attribuisce ad essi data certa di fronte ai terzi a norma dell'art. 2704 del codice civile.Insomma registrare un atto può essere utile anche quando ciò non è obbligatorio perché la registrazione conferisce a quell'atto data certa.Torniamo alle ipotesi di registrazione obbligatoria, rispetto ad esse la legge prevede due ipotesi:a) registrazione in termine fisso:b) registrazione in caso d'uso.Si parla di termine fisso quando l'atto dev'essere registrato per il solo fatto di essere sorto; classico esempio di registrazione in termine fisso è quella del contratto di locazione di unità immobiliari. Ai sensi dell'art. 6, primo comma, d.p.r. n. 131/86 "si ha caso d'uso quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie nell'esplicazione di attività amministrative o presso le amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo, salvo che il deposito avvenga ai fini dell'adempimento di un'obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per legge o regolamento".Secondo la dottrina il deposito in cancelleria di un atto nell'ambito di un'azione giudiziaria non comporta l'obbligo di registrazione, trattandosi di esercizio di un'attività giurisdizionale e non di attività amministrativa. Ed il contratto comodato gratuito?Esso è soggetto a registrazione in termine fisso, in caso d'uso oppure dev'essere considerato esente dalla registrazione e quindi dall'imposta?Ai sensi dell'art. 5, quarto comma, Tariffa Parte Prima allegata al d.p.r. n. 131/86, il contratto di comodato di immobili è soggetto a registrazione a termine fisso.La registrazione dev'essere eseguita entro venti giorni dalla sottoscrizione del contratto che diventano sessanta se l'atto è formato all'estero (cfr. art. 13 d.p.r. n. 131/86) ed il costo dell'imposta di registro è pari ad € 200,00 (cfr. art. 5, quarto comma, Tariffa Parte Prima allegata al d.p.r. n. 131/86).
Affittare la seconda casa: come fare?

Affittare la seconda casa: come fare?

Innanzitutto, prima di mettersi alla ricerca di un inquilino, conviene fare un controllo preliminare dell'immobile, controllando la regolarità degli impianti, il regolare funzionamento delle apparecchiature esistenti, la qualità del mobilio messo a disposizione.Una volta terminato, bisognerà farsi un po' "di pubblicità". In questo caso ci si potrebbe affidare a un Consulente Immobiliare, che vi dirà quali canali saranno più utili, tra cartello sull'immobile, annunci su riviste, annunci su siti internet e volantinaggio in zona sono le attività principali di marketing, oltre al richiamo di clienti con il giusto profilo per il vostro immobile. Se scegliete di operare da soli, avrete probabilmente un raggio di azione un po' più limitato. Tuttavia, nel momento in cui troverete un inquilino, bisognerà stipulare un contratto. Ce ne sono diverse tipologie:- Il contratto "4+4" della durata di quattro anni, rinnovabile per altri quattro a un canone liberamente contrattato tra le parti.-Il contratto a canone concordato che ha un prezzo prestabilito che varia di Comune in Comune in base agli accordi tra i sindacati inquilini e le associazioni di proprietari locali. La durata è di 3 anni più due anni di rinnovo automatico e il vantaggio per i proprietari consiste in una riduzione Irpef del 40,5% del canone imponibile in dichiarazione-I contratti transitori durano da un minimo di un mese a un massimo di 18 mesi e il proprietario o l'inquilino devono documentare di avere una reale esigenza di affittare l'immobile per un periodo di tempo limitato.-I contratti per studenti universitari, che vanno da 6 a 36 mesi.La stesura di un contratto meglio farla fare da un professionista e non affidarsi ai moduli prestampati. Nel caso di immobili arredati, si consiglia di preparare un elenco preciso di tutto ciò che e' a disposizione nella casa, da sottoscrivere al momento del contratto.Si ricorda l'obbligo di registrazione per ogni contratto di durata superiore ai 30 giorni, da effettuare in modo tradizionale presso gli uffici dell'agenzia delle entrate oppure in modo telematico. Si consiglia, infine, la redazione del "verbale di consegna immobile", ove saranno specificati e sottoscritti da entrambe le parti le condizioni degli infissi, dei mobili, delle apparecchiature, l'imbiancatura delle pareti, eventuali imperfezioni, la situazione della caldaia se presente, le letture dei contatori e il numero esatto delle chiavi consegnate. La cosa migliore e' firmare questo modulo insieme al contratto.